Civili in fuga in mezzo alla furia dei proiettili

Nelle memorie del giovane ufficiale uno scontro durante la campagna d'Italia

Civili in fuga in mezzo alla furia dei proiettili

I polacchi e le nostre fanterie si buttano avanti. I Tedeschi(non il grosso, già oltre, ma retroguardie ben forti) si ritirano combattendo. Seguo con il cannocchiale le nostre pattuglie che avanzano. Vedo l'accoglienza gioiosa dei contadini ad ogni masseria. Abbiamo sparato centinaia di colpi su questa grande vallata fittamente abitata: chissà quanti morti nostri! Ci si sforza di non pensarci. I Tedeschi riescono a tenere la sommità del costone e il paese (Filottrano). Sosta.

Mai mi sarei aspettato quello che accadde nel pomeriggio. Fin dal primo giorno un pezzo tedesco da 149 o 152, probabilmente a lunga gittata, aveva lanciato nella nostra zona dei colpi caduti, i più vicini, a 2-300 metri da noi. Speravamo che, con la nuova situazione, non sparasse più.

Su una strada scoperta al nemico che va dalla casa avanti alla quale, nel granoturco, è il nostro osservatorio alla via maestra, c'era stato un insolito traffico di soldati e civili.

Alla confluenza della strada nella via maestra c'è una casa dove io dormo quando non sono di turno (in un granaio) e presso cui ci sono gli autocarri e l'Ufficio Maggiorità. A questa casa mi dirigevo con un sergente per scegliere con lui un posto dove piazzare una mitragliatrice.

Davanti a noi, a una trentina di metri, camminava un crocchio di donne e bambini.

Proprio nel momento in cui questo gruppetto di gente arrivava all'incrocio, un sibilo pesante e vicinissimo. Col sergente mi getto a terra. Uno schianto, un'immensa fumata, proprio sul crocicchio. Gente che fuggiva. Gente che si agitava a terra. Grida, pianti disperati di bambini. Accorro. Trasportammo alla casa i feriti, mandammo via i bambini; Francescoli inviò una moto a chiamare il medico e l'autoambulanza. Frattanto iniziammo le prime medicazioni.

Avevo fatto portare in Maggiorità una vecchietta settantenne che colava sangue in modo incredibile. Il braccio pendeva spezzato poco sotto la spalla: afferrai una forbice e le tagliai la manica. La vecchietta giaceva a terra, la bocca sdentata semi-aperta, gli occhi semi-aperti, immobile. Respirava soltanto. Foro d'entrata, foro d'uscita. Tra le vesti sangue rappreso in quantità incredibile. Mi riempiva la mano sino a colmarla. Decisamente tagliai le vesti scoprendo il torace e il ventre alla ricerca di un'altra ferita: niente. Tutto quel sangue era uscito dal braccio, ora non ne usciva più. Fasciai con un pacchetto di medicazione. C'era poco da sperare.

Passai a un'altra ferita: una ragazzina di 14-15 anni. Un'apertura di tre-quattro centimetri al capo: via i capelli con la forbice, ma non toccai la ferita. Guatelli con calma e freddezza stava pure medicandola. Era la prima volta che immergeva le mani nel sangue, eppure non si scomponeva perché il Signore è con lui ed egli domina sempre ogni circostanza. Mi disse: Guarda il ventre!. Sollevai l'abitino. Un po' di sangue. Ha una fuoriuscita di intestino. Con le forbici attaccai senz'altro le mutandine, ma in modo di non scoprire del tutto il basso ventre. Guatelli ricoprì con delicatezza la parte che si stava scoprendo. Ecco la ferita: un buchetto d'un centimetro di diametro. Ne esce un cilindretto di carne molliccia lungo un paio di centimetri. Ricopro: bisogna aspettare il dottore con i ferri sterilizzati.

Un soldato nostro, Donelli, è leggermente ferito. Corro a prendere il pagliericcio nel granaio, lo stendiamo sopra. Compagni pietosi cercano la ferita, la fasciano. Altri hanno fasciata una bambinetta di 8-10 anni ferita a una gamba che grida e grida. Mi torna in mente la vecchietta lasciata sola. Corro alla Maggiorità. Eccola, si è ripresa, tenta, poggiandosi sul braccio spezzato di afferrarsi alla gamba di un tavolo e rizzarsi. La ridistendo a forza. Geme.

«Pazienza nonna, pazienza! Non è niente. Pregate il Signore, nonna». Penso che morirà presto. Vorrei suggerirle qualche buon pensiero. Ma mi capirà? E poi, son così cattivo ormai, e non so che ripetere: «Pregate il Signore, nonna». Un soldato mi è vicino. Anch'egli ripete: «Pregate il Signore, nonna!»...

Una donna, la mamma delle bambine, era morta quasi sul colpo e i soldati l'avevano deposta vicino a un pagliaio. Era una madre di famiglia ancor giovane: trentacinque, quaranta anni. Andai a vederla. Il volto atteggiato quasi a un sorriso: occhi aperti, bocca socchiusa. Il petto inzuppato di sangue. Le tenni le ciglia abbassate e gli occhi rimasero chiusi. Cercai, legandole intorno al capo un pezzo di filo telefonico, di chiuderle la bocca; poi rinunciai. Le buttarono sopra un telo da tenda. Dopo una ventina di minuti ecco l'autoambulanza. Il dottore medicò, fece punture, legò il braccio alla vecchia. L'aiutai in questa bisogna: la poveretta cercava di allontanare il cordone emostatico che doveva farla soffrire in modo atroce.

Poi, delicatezza grande, cercò di coprirsi il basso ventre. Ma io, pur spogliandola quasi tutta, gliel'avevo lasciato coperto. Così la ricopersi fino al petto ora. I feriti furono caricati. L'autoambulanza partì.

7 luglio 1944 (Filottrano)

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