Cultura e Spettacoli

Con "Colazione da Tiffany" Capote reinventò il lusso

Con "Colazione da Tiffany" Capote reinventò il lusso

Con "Colazione da Tiffany" Capote reinventò il lusso

Perché da Tiffany? Perché sai che quello è il miglior posto al mondo in cui non può accadere nulla di male. Dice così l'affascinante, inquieta Holly di Colazione da Tiffany. Compie sessant'anni il romanzo di Truman Capote, scritto nel 1958, che ebbe un successo strepitoso grazie al film (uscito nelle sale tre anni dopo) del regista Blake Edwards, con Audrey Hepburn protagonista. Un film infedele al libro di Capote, che, con il tradimento, è riuscito, in una volta sola, a creare tre miti: quello di un'attrice in grado d'essere magicamente di una bellezza innocente e, insieme, di una maliziosa sensualità; quello del marchio Tiffany; quello del lusso più elegante e colto.

Nel cedere alla Paramount i diritti del suo libro, Truman Capote chiese che Holly Golighyly, la protagonista del romanzo, fosse Marilyn Monroe, e quando seppe che la Hepburn venne scelta nel cast, pensò di far causa alla produzione del film. Capote pensava che Marilyn avrebbe rispecchiato molto meglio la Holly del romanzo: una donna trasgressiva, ancora inconsueta nella New York degli anni Quaranta (in cui è ambientato il racconto), con pochi scrupoli nell'accompagnarsi farsi amare da uomini ricchi e potenti per riscattare la sua miserabile origine. Una donna dalla sessualità incerta che può sottintendere l'omosessualità, tormentata dalla sua autentica incapacità di ricambiare amore ed fedeltà.

La Holly interpretata da Audrey Hepburn vive in una New York degli anni Sessanta quando il tempo di guerra, lasciato ormai alle spalle, genera nuove speranze, vorticosi progetti di vita, ricchezze immense nate all'improvviso. Holly è una ragazza semplice che vive in solitudine per dare un senso alla propria storia: adora la sua autonomia, è fermamente convinta che sia giusto rinunciare all'amore - una gabbia in cui gli uomini la vorrebbero rinchiudere - è libera come il suo gatto, ma anche lei, come il suo gatto, fa le fusa alla dolcezza di un carezza. La ricchezza, i gioielli, lo sfarzo delle feste rappresentano un ideale di bellezza, non l'obbiettivo di una conquista, un modo per stare bene dopo tante sofferenze patite nell'adolescenza.

Il punto che segna la distanza tra la Holly di Capote e quella del film è Tiffany. Cos'è Tiffany? È la realizzazione del sogno americano, e la Hepburn lo fa rivivere attraverso un'immediatezza e una profondità contagiose, in grado di catturare l'immaginazione di un'intera società che vuole vivere alla grande, oltre la mediocrità. Non a caso il film diventa un'icona del lusso raffinato, colto, lontano e ostile alla cafoneria: Holly è un modello di stile; Tiffany è un modello imprenditoriale del grande, vero lusso.

Charles Luis Tiffany nei primi decenni dell'Ottocento aveva un negozio a Broadway, dove vendeva articoli di cancelleria, ma nel 1848 (altro anniversario: sono trascorsi 170 anni) riesce a comperare i gioielli della corona di Francia, e il suo successo di gioielliere, insieme al socio John B. Young, diventa inarrestabile. Da quell'anno inizia la pubblicazione del Blu Book per presentare le collezioni autunnali, pubblicazione che non s'interromperà mai nel corso del tempo. Partecipa all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, portando in Europa la bellezza dei suoi gioielli, facendo conoscere inusuali tecniche di lavorazione delle pietre e nuovi materiali, continuando una ricerca che ha il suo culmine nella scoperta, in quello stesso anno, del diamante giallo in una miniera del Sud Africa.

Da cartolaio a più grande gioielliere del mondo: il sogno del signor Tiffany diventa realtà. E Audrey Hepburn, la Holly del film, interpreta il vero lusso Tiffany con una classe che cancella ogni forma di ostentazione, di esibizione del superfluo, di volgare vanità.

Ci sarebbe riuscita anche Marilyn in questa impresa? Splendida anche lei, ma avrebbe avuto la stessa classe della Hepburn? Non credo proprio.

L'oggetto di lusso non è per tutti, e non perché non tutti hanno le stessa tasche, ma perché non hanno lo stesso stile. Il lusso pretende stile ed educazione estetica, è il riflesso di una personalità, di un modello sociale, di un'epoca storica. Una volta definito e apprezzato l'oggetto di lusso, esso vive nell'uso che ne fanno le persone che hanno la possibilità di possederlo. Subisce una curiosa metamorfosi: cambia pur rimanendo identico a se stesso. Il suo valore artistico e venale non muta, ma il suo significato si rappresenta e si esprime per la funzione e per il modo in cui esso viene esibito.

Ecco perché lo stesso oggetto di lusso lo stesso gioiello, lo stesso abito, la stessa automobile cambia di significato in relazione a chi lo porta, a chi ne fa uso. Può essere splendido e può essere svilito, può irradiare fascino e può comunicare cafonaggine.

Lo stile di una persona è la sua storia, e il lusso non può cambiare questa storia. Ci si può addobbare come un albero di Natale con monili lussuosi, ma se non si ha stile ed eleganza, quegli oggetti rendono ancora più cafoni. La nostra cultura non si risparmia severi giudizi moralistici sul lusso, ma bisogna capire che questi vengono formulati non sull'oggetto ma sul modo in cui di esso ci si serve, perché l'oggetto di lusso la sua qualità, l'originalità, la bellezza, la grazia ha una propria innocenza etica.

Honoré de Balzac diceva che ricchi si diventa, eleganti si nasce.

E questo lo si comprende guardando la bellezza di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, in cui la sua personalità esalta il lusso di Tiffany, e Tiffany risplende nell'eleganza dell'attrice.

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