Una commedia umana dettata dal Caos

Antonio Pascale mette in scena l'apparente libertà della nostra vita

Massimiliano Parente«Siamo soliti pensare solo all'ultima azione: è l'ultima che conta, la più eccezionale nell'ordine generale del mondo. Che presunzione, ritenere che solo l'ultima azione sia sotto il nostro rigido controllo: lì avevamo il libero arbitrio e potevamo quindi fare diversamente, crediamo ingenuamente». Questo pensiero è la base su cui appoggia l'ultimo romanzo di Antonio Pascale, Le aggravanti sentimentali, che forma un dittico con il precendente, Le attenuanti sentimentali, entrambi pubblicati da Einaudi. In definitiva cosa sono l'amore, i sentimenti, le azioni, il dolore, le scelte all'interno delle nostre vite?Pascale costruisce una storia con pochissimi elementi narrativi e un numero esiguo di personaggi: lo stesso Pascale, un film-maker, un'amica che tenta il suicidio, un artista famoso, tutti accomunati dall'insoddisfazione, ognuno spinto ciecamente a andare avanti nel percorso segnato della propria vita. Non destinato in modo personale o astrologico (ci mancherebbe), ma in qualche modo obbligato, perché troppe variabili indipendenti determinano i nostri percorsi apparentemente liberi. Qui la trama non conta, oppure conta tantissimo. In fondo conta la trama nella meccanica quantistica? Contano la trama, i fattori individuali, le singole determinazioni, in una storia biologica lunga quattro miliardi, dai primi organismi all'Homo Sapiens? E il libero arbitrio, quanto può essere condizionato dal DNA, dal malfunzionamento di una cellula, da un impulso elettrico casuale di una sinapsi o da un singolo elettrone?I nostri eroi girano per Roma e parlano. Pascale, l'io narrante, soprattutto riflette, e in questo vagabondare sul filo della digressione, di pagina in pagina ci si diverte perfino. Se fosse stato un romanzo di Nicola Lagioia o di Edoardo Nesi l'avrei mollato a pagina cinque, perché sarebbe stato inutilmente infarcito di frasi pseudo­intellettuali sulla politica e sulla Puglia, sulla crisi economica o sugli industriali di Prato. Invece, mentre gli altri sprofondano nel provincialismo narrativo, Pascale costruisce una commedia urbana nell'entropia. Siamo a Roma ma potremmo essere ovunque, in qualsiasi punto del caos del mondo; ci sono Pietro, Luigi, Giacomo, Paola ma potremmo essere noi, mammiferi pensanti in cerca di un'illusione; si parla di felicità, ma con la spietatezza di un entomologo. E senza rinunciare alla tenerezza, a cui del resto non rinunciava neppure Leopardi con la sua potente e devastante visione dell'universo, e pensare che le sue ginestre ancora non conoscevano la trappola dell'evoluzione. «Siamo un errore», scrive Pascale a proposito dell'evoluzione. «Un piede in fallo. Però così appaiono nuovi tratti, e questi sopravvivono e mostrano capacità riproduttiva solo se sono adattivi nei confronti dell'ambiente in cui casualmente si trovano». È un meccanismo semplice, affascinante e terrificante: mutazione casuale, selezione naturale e ereditarietà. E delle nostre vite, cosa resta? E dell'amore? E della felicità? A volte basta poco per sognare, per esempio arrampicarsi su un albero per tornare bambini, o cazzeggiare con Stellarium, un'applicazione dello smarthphone per vedere le stelle. «Se ci fosse uno Stellarium per i sentimenti potremmo prevedere lo sviluppo dell'amore da qui a diecimila anni? Non c'è via di fuga? I desideri dei padri hanno conseguenze prevedibili sui figli. E conoscerli serve o non serve? È possibile cambiare le cose?». Antonio Pascale, nonostante sia nato a Napoli (dico nonostante perché i napoletani, salvo Diego De Silva, sono sempre così insopportabilmente «anema e core»), è un scrittore che non ha rinunciato a raccontare ma neppure a sapere, per questo è tra i pochi italiani interessanti, fuori dalla combriccola cimiteriale dei letterati.

Tuttavia, poiché è nato a Napoli, nella tragedia non riesce a non essere simpatico.D'altra parte l'estrema comicità, come insegna Samuel Beckett, nasce dalla consapevolezza dell'estrema tragicità. Per questo, se continua a essere così bravo, Pascale non vincerà mai il Premio Strega.

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