Così la crisi delle religioni ha creato lo Stato idolo

Giampietro Berti

«Gli uomini fanno leggi per ovviare a ogni inconveniente che incontrano; e scoprendo con il tempo la loro insufficienza, ne fanno altre con l'intento di rafforzare, migliorare, chiarire o abrogare quelle vecchie; finché il corpo delle leggi cresce a dismisura, così da richiedere uno studio tedioso e prolisso per comprenderle. Ne consegue che ve ne sono così tante da applicare, che diventano un peso grande quasi quanto quello che se ne potrebbe temere dall'ingiustizia e dall'oppressione». Così scriveva, agli inizi del Settecento, il medico e scrittore olandese, naturalizzato britannico, Bernard de Mandeville, denunciando un male endemico dell'azione politica: la sua invadenza nella vita degli individui. È la premessa da cui parte Raimondo Cubeddu per sviluppare un'originale riflessione sul senso, gli ambiti e gli scopi dell'agire politico: La natura della politica (Cantagalli, pagg. 277, euro 20).

Mai come in questi ultimi tempi vi è stata una insorgenza antipolitica, espressione di un malessere generale che investe gran parte dei regimi liberaldemocratici. Da dove scaturisce tale rigetto? Per Cubeddu ha origine nel processo di secolarizzazione, che nell'ultimo secolo ha investito l'Occidente. Alla crisi delle religioni tradizionali ha corrisposto una divinizzazione della politica. Se prima la religione rispondeva alle domande di certezza, dovute alla precarietà della condizione umana, ora la risoluzione di molti problemi viene delegata ai pubblici poteri. L'eclissi della religione è dunque coincisa con la progressiva dilatazione delle competenze dello Stato. Una fiducia mal riposta, dato che l'azione politica può risolvere solo una parte delle questioni personali. I suoi insuccessi, tuttavia, non sono attribuiti alla sua natura, ma alla sua cattiva gestione, precisamente alla scarsa moralità dei politici e alla loro incapacità; e alla mancanza, o alla carenza, di leggi specifiche. Di qui l'esito paradossale dell'antipolitica perché i fallimenti della politica finiscono per aumentarne la domanda.

La crescente invadenza dello Stato coincide con la proliferazione dei cosiddetti diritti umani che tendono a sostituire i diritti naturali. Mentre questi erano nati per limitare il potere statale e l'espansione delle sue competenze, i diritti umani permettono a ognuno di travestire le proprie aspirazioni e le proprie speranze, giustificandole eticamente a proprio uso e consumo. È questo l'effetto della rimozione della religione dalla sfera pubblica e della sua sostituzione con un relativismo etico in costante e incontrollabile espansione.

Ne consegue un assetto giuridico e istituzionale dove la politica sovraintende qualsiasi ambito della vita collettiva e individuale; una onnicomprensiva regolamentazione tendente a realizzare una sorta di Stato universale e omogeneo e a formare una mentalità conformistica, di cui il trionfo (sinistro) del «politicamente corretto» ne la più significativa espressione.

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