È un viaggio circolare in cui si va avanti per tornare al punto di partenza. Da Berlino a Broadway e ritorno. Si parte dalla Belle Époque e si arriva a oggi, ma più si procede, più si torna indietro. È il viaggio alla riscoperta di un filone dell'«arte degenerata», l'opera e l'operetta degli autori (molti ebrei) messi al bando dal nazismo.
La locomotiva è berlinese, la Komische Oper; il capotreno arriva da lontano: è Barrie Kosky, nato a Melbourne e approdato qui dopo una brillante carriera internazionale. Il suo progetto è produrre letture non convenzionali dei classici dell'opera, da Monteverdi a Puccini, recuperando al tempo stesso i capolavori dell'operetta mitteleuropea firmati da Emmerich Kálmán, Oscar Straus o Paul Abraham, senza dimenticare la dodecafonia di Arnold Schönberg. Da Budapest e Vienna, già capitali indiscusse dell'operetta, la musica approdò a Berlino negli anni Venti e fino all'avvento del nazismo il successo dei compositori ebrei non conobbe soste. È il caso del Ballo al Savoy dell'ungherese Paul Abraham: esordio nel dicembre '32, un mese prima del giuramento al Reichstag di Hitler come cancelliere. La miscela di jazz e melodie magiare interpretate dalla cantante ebrea ungherese Gitta Alpar erano agli antipodi del pensiero totalitario nazista. Dopo un mese era finito tutto. Del '32 è anche Eine Frau, die weiß, was sie will («Una donna che sa quel che vuole») del viennese Oscar Straus. Destino analogo per i due compositori ebrei: saranno gli Stati Uniti ad accoglierli dopo la loro fuga da Berlino a Vienna e poi da lì a Parigi dopo l' Anschluss . Straus, che farà fortuna a Hollywood, porterà con sé il soprano Fritzi Massary, ebrea viennese e diva della scena musicale berlinese. La notorietà che Massary si guadagnò interpretando le arie di Straus le erano valse addirittura una marca di sigarette, un profumo dedicato e una réclame con la Mercedes.
Fino all'arrivo delle camicie brune, la città non aveva eguali in Europa per cosmopolitismo e creatività. Ci sono voluti 82 anni e l'intervento di un direttore australiano perché il lavoro di Straus potesse tornare in scena nello stesso teatro dove nacque. La Komische Oper, che allora si chiamava Metropol-Theater, è sopravvissuta a due guerre mondiali. Il rifacimento della facciata è del 1966, in piena Ddr, e se oggi l'esterno è un liscio parallelepipedo tanto anonimo quanto funzionale, gli interni sono rimasti inalterati con le decorazioni in stile neobarocco viennese. Oggi come allora la Komische Oper produce spettacoli quasi solo in tedesco. «Era ovviamente così anche sotto la Ddr - spiega il drammaturgo Ulrich Lenz -, ma per noi non è più un dogma. Gianni Schicchi va cantato in italiano e l' Evgenij Onegin si capisce bene anche in russo. Interamente in tedesco abbiamo prodotto invece la trilogia di Monteverdi, che è quasi tutto un dialogo. E il pubblico ha gradito». Lenz si esprime in un italiano impeccabile appreso durante gli studi di Musicologia alla Statale di Milano. Quello di Chefdramaturg è un titolo prettamente tedesco: «Sono il primo critico del direttore di scena», ma da come racconta la traiettoria della Komische Oper, Lenz sembra anche il braccio destro del direttore del teatro.
Accanto ai classici allestiti in chiave moderna - basti pensare a un Flauto magico in cui i cantanti interagiscono con cartoni animati in stile Tim Burton proiettati sul fondale - Barrie Kosky ha reintrodotto l'operetta dove si affacciano foxtrot e jazz, perché «Berlino sta tornando a essere quella metropoli multiculturale che era cento anni fa». La distinzione fra musica alta e bassa che ha relegato l'operetta in serie B è respinta a priori: «La mia teoria - spiega Lenz - è che la Germania ha reagito al trauma di aver perso la Prima guerra mondiale e all'invasione del cinema e del jazz americani stabilendo che certe forme d'arte fossero basse». Kosky ha scelto il Ballo al Savoy per rompere il muro dei classici: «È una musica fantastica, indescrivibile - racconta Lenz -, l'opera di un genio che ha miscelato jazz e folk magiaro, sinfonia e operetta, inventando qualcosa di nuovo. Dura quattro ore ma alla prima il pubblico è rimasto incollato alle poltroncine». Adesso è il turno dell'ebreo ungherese Emmerich Kálmán, l'autore della Principessa della Czarda . Nel 2012 la Komische Oper ha resuscitato la semisconosciuta Die Bajadere , «una musica impressionante». Del 2013 è La Duchessa di Chicago e dell'anno dopo è Arizona Lady , opera scritta in esilio e mai messa in scena a Berlino; seguirà La Principessa del circo . Anche qui l'innovazione non manca: dal ricorso alla forma semi-concertata all'impiego di alcuni protagonisti come narratori per meglio coinvolgere il pubblico, alla miscela di cantanti d'opera, star del musical e attori di grido. Il 2016 sarà l'anno dedicato ai lavori dell'ebreo russo Mischa Spoliansky, riparato in Inghilterra dopo l'avvento del nazismo.
«Riportiamo in vita questa musica per la sua qualità: non è un'operazione-ricordo né un omaggio al politically correct imperante nella Germania post-bellica. Questa musica e questi temi sono interessanti perché raccontano qualcosa della Berlino di oggi». Poi Lenz cita Barrie Kosky: «I compositori ebrei erano parte integrante della cultura tedesca e austriaca». Non un corpo a sé, ma una costola che il nazismo ha strappato alla Germania per dodici anni. Ce ne sono voluti 80 perché un «ebreo ateo» australiano la riportasse a casa. Nel frattempo, da Broadway a Hollywood, i compositori in fuga hanno contribuito al successo planetario dell' entertainment a stelle e strisce. Posti esauriti ogni sera: anche la recente prima del non facile Moses und Aron di Schönberg si è conclusa con undici minuti di applausi. Inoltre la Komische Oper sta facendo scuola: il berlinese Volksbühne ha prodotto Frau Luna , scritta da Paul Lincke nel 1899. E dopo una serata alla Komische Oper, conclude Lenz, il direttore dell'Opernhaus di Dortmund ha voluto portare in scena nella sua città Roxy und ihr Wunderteam di Paul Abraham, un'opera buffa non più in cartellone dal 1937 per ordine del Führer.
di Noam Benjamin
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