Cultura e Spettacoli

Così Huizinga previde le «ombre del domani» della civiltà occidentale

Torna il classico dello storico olandese in cui sognava un eroe cavalleresco...

Corrado Ocone

Il volume in Italia noto come La crisi della civiltà, che lo storico olandese Johann Huizinga (1872-1945) pubblicò nel 1935, è un classico della cosiddetta «letteratura della crisi». Nei pochi decenni che separano la prima dalla seconda guerra mondiale uscirono infatti una serie di testi, che circolarono un po' in tutti i paesi europei, che mettevano al centro della loro attenzione la crisi, e per alcuni il tramonto, della civiltà occidentale. Tema che troviamo trattato, con toni allarmati ma anche con un certo pacato distacco metapolitico, nel volume ripubblicato ora con il titolo originario: Nelle ombre del domani. Una diagnosi del disagio spirituale del nostro tempo (Aragno, pagg. 214, euro 20; a cura di Michele Bonsarto). Per Huizinga il «decadimento» è soprattutto spirituale e concerne i valori su cui la nostra civiltà si è costruita, e che per lui sono andati in crisi non solo nella filosofia ma anche nel sentimento comune: «verità e umanità, ragione e diritto». Egli individua in una generale «tendenza all'irrazionalità», alla mancanza di «spirito critico», al «puerilismo», alla superstizione, i caratteri più evidenti del nostro tempo. Lo fa in un'ottica «spiritualistica» e non «organicistica», come poteva essere ad esempio quella di Oswald Spengler.

E soprattutto lo fa in una prospettiva che apre lo spazio alla possibilità di una inversione di marcia e di un futuro diverso. Huizinga parla di una «purificazione» degli spiriti da realizzarsi però lungo una linea di riproposizione del liberalismo così come si era affermato nell'Ottocento. E una certa ovattata aria da «mondo di ieri» si respira in tutte le pagine di quello che pure vuole presentarsi come un libro di denuncia. Un'impressione di lontananza che sembra ancor più evidenziarsi nelle pagine in cui si parla della «progressiva perdita di stile» nel nostro tempo. Un discorso che dall'arte e dalla letteratura Huizinga sembra estendere all'estetica di massa, che, come già José Ortega y Gasset (che in qualche modo apparteneva allo stesso mondo), finisce per giudicare «barbara» e disarmonica. Per lo storico olandese c'è comunque bisogno di eroi, perché solo persone che si assumono sulle loro spalle il carico della rigenerazione spirituale possono dare la spinta decisiva al nuovo processo. Egli però non guarda all'eroe degli attivismi contemporanei, alla Gabriele D'Annunzio per intenderci, ma a un eroe che si approssimi in qualche modo alla «formula più pura dell'ideale cavalleresco medievale» che «attingeva la propria forza dalla limitazione dei mezzi d'offesa consentiti e da un codice d'onore severo e rigoroso».

È proprio l'esaltazione della virtù dell'ascetismo, e un certo intellettualismo che permea tutta la visione di Huizinga, che mise in moto in Italia negli anni della prima pubblicazione, sia negli ambienti fascisti sia in quelli antifascisti, una serie di reazioni negative intorno al libro che si cristallizzarono soprattutto nelle accuse di Delio Cantimori. Lo storico, allora fascista (ma che sarebbe diventato uno dei principali intellettuali comunisti), associò Huizinga a quegli «uomini, pur rispettabili come studiosi, ma che sono straordinariamente goffi» quando si occupano di politica, non capendo che è «una cosa seria, che non ammette i begli spiriti né le anime belle». Al contrario Luigi Einaudi, che aveva patrocinato la pubblicazione, e che a Huizinga era legato da una amicizia decennale, si ritrovò nella visione internazionalista e liberale dell'autore. Opportuno è perciò stato aggiungere alla nuova edizione, in appendice, sia il carteggio Huizinga-Einaudi, che va dal 1926 al 1943, sia un saggio (del 2005) di Luisa Mangoni che ricostruisce la storia del rapporto critico fra Cantimori e Huizinga. Fra le accuse mosse al nostro autore c'è quella di essere ottimista. In verità, come diagnosi dei mali del tempo, a lui fa sicuramente difetto un certo realismo politico.

Oltre a essere una testimonianza significativa dei travagli dello spirito europeo in quegli anni, il libro va considerato anche per l'efficacia con cui finiva per suscitare negli spiriti europei le più riposte energie morali.

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