Cent'anni fa Lenin (1870-1924) era esule in Svizzera. Probabilmente nessuno dei contemporanei avrebbe scommesso che, da lì a pochi mesi, avrebbe scatenato il terremoto politico che ha portato alla nascita dell'Urss. Vladimir Il'ic Ul'janov viveva in un modesto appartamento alla periferia di Zurigo e non veniva considerato un pericolo da nessuno. Alla Conferenza di Kienthal (1916) aveva tuonato spiegando che la guerra era l'occasione per scatenare una rivolta globale dei proletari e che non bisognava parteggiare per nessuna delle nazioni belligeranti. In particolare se l'era presa con la Germania: «La Germania si batte... per opprimere le nazioni. Non è compito dei socialisti aiutare il brigante più giovane e forte a depredare i briganti più vecchi». Queste idee non lo stavano portando lontano, ed era preoccupato su come sbarcare il lunario. Beh, il lunario trovarono il modo di farglielo sbarcare proprio i tedeschi. In Russia a partire dal febbraio 1917 si sviluppò una rivoluzione anti zarista che aveva tra i principali esponenti il liberal-socialista Aleksandr Kerenskij (figlio dell'ex preside di Lenin). Deposto entro marzo Nicola II, Kerenskij e compagni stavano creando una democrazia in stile occidentale. E al contempo erano intenzionati a proseguire la guerra contro gli Imperi centrali.
Ovviamente una scelta che deludeva profondamente gli alti comandi dell'esercito del Kaiser. I tedeschi avevano il fiato corto e far ritirare la Russia dal conflitto avrebbe dato loro la possibilità di lanciare tutte le loro divisioni sul fronte occidentale. È in questo contesto che Lenin all'improvviso si trasformò in una pedina importante. Come spiega una recente biografia - The first nazi, tradotta in Italia come L'uomo che creò Adolf Hitler per i tipi di Newton Compton - scritta da Will Brownell e Denise Drace Brownell, della pratica si occupò soprattutto il generale tedesco Erich Ludendorff (a cui va anche la responsabilità di aver favorito l'ascesa del Führer). Il generale fece pressione su un suo amico, Arthur Zimmermann, perché contattasse un faccendiere russo-polacco, Alexander Parvus, che contattò Lenin. Era disposto a tornare a fare il rivoluzionario in Russia? Lenin disse che gli serviva un treno dotato di mandato extraterritoriale. Glielo fornirono.
Lenin e 32 compagni si imbarcarono il 9 aprile 1917 su quello che poi sarebbe stato a lungo chiamato il «vagone piombato» (molte porte erano bloccate per motivi di sicurezza). Già alla stazione vi fu bagarre. C'erano esuli russi che accusavano Lenin di essere un traditore al soldo dei tedeschi e altri che cantavano la marsigliese. Iniziò così uno dei viaggi su rotaia più strani della storia, a cui lo storico Michael Pearson ha dedicato un intero volume: Il treno piombato. Il convoglio attraversò una Germania spettrale sino a giungere a Berlino. La leggenda vuole che i volenterosi comunisti, circondati dalle truppe tedesche in stazione, facessero un bel discorso ai militari di guardia per spingerli alla rivoluzione. Non ottennero risposta. Di sicuro vennero a far loro visita degli alti ufficiali, tra cui forse lo stesso Ludendorff. In questo caso si parlò solo di soldi. I tedeschi promisero a Lenin svariati milioni di marchi-oro. Gli storici non sono mai riusciti a ottenere la stima esatta, ma oscilla tra i 30 e 40 milioni: un'enormità. Lo scopo del finanziamento era chiaro, far uscire la Russia dal conflitto. Se fino a quel momento Lenin si era mostrato incerto sul da farsi, le sue esitazioni cessarono.
Al suo arrivo alla stazione di San Pietroburgo venne accolto dal soviet locale, capeggiato dal molto moderato Nikoloz Chkheidze che gli rivolse un discorso tutto democrazia e serrare i ranghi attorno al governo provvisorio di L'vov e Kerenskij. Si vide rispondere: «La guerra predatoria dell'imperialismo è l'inizio di una guerra civile...». Chkheidze ebbe paura e non a torto. Tra i pochi a capire la pericolosità di Lenin anche l'ambasciatore britannico George Buchanan, che avvisò immediatamente Londra.
Ma ormai era troppo tardi. Sino al giorno prima il governo provvisorio avrebbe potuto fermare il treno con un colpo di artiglieria. Ora il denaro tedesco consentì a Lenin di far decollare le pubblicazioni della Pravda, trecentomila copie gratuite al giorno. Questo al netto delle violenze dei bolscevichi, che si moltiplicarono esponenzialmente. E contemporaneamente i bolscevichi potenziarono i mezzi di propaganda tra i militari. Quando il primo luglio Kerenskij affidò ad Aleksej Brusilov l'ultima offensiva dell'esercito russo, il morale delle truppe era già profondamente minato. Dopo la rotta ci fu la presa del potere di Lenin. Questa volta i tedeschi erano arrivati a ottenere quello che non era riuscito nemmeno a Napoleone e che non riuscì ad Hitler: la chiusura del fronte russo. Non bastò però a vincere la guerra e regalò a Lenin un'intera nazione. Anzi, ironia della sorte, Lenin usò i loro soldi anche per diffondere materiale rivoluzionario comunista tra le truppe degli Imperi centrali.
Per dirla con le parole del generale tedesco Max Hoffmann: «Il nostro vittorioso esercito sul fronte orientale si infettò di bolscevismo». Senza quel treno e quei milioni di marchi forse la Russia sarebbe diventata una nazione democratica con più di settant'anni di anticipo.
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