Così la Madonna consola il dolore delle musulmane

Stefania Vitulli

Come dimostra Martin Scorsese con i tormenti dei gesuiti di Silence nel Giappone dell'inquisizione anticristiana, sopportare il silenzio di Dio mentre tortura e morte ti danno la caccia è una prova durissima. E la preghiera può risultare un conforto insufficiente. Diverso è il caso di Maria. Con lei più che l'attesa di un segno, si può condividere il dolore. Con lei si può uscire allo scoperto anche se si augura il male al proprio carnefice ed esporre un cuore impuro ai limiti dell'eresia.

Perché a Maria è stata strappata non la vita sua, ma quella del suo amore più grande. In Maryam - lo spettacolo scritto da Luca Doninelli, ideato e diretto da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, in prima nazionale al Teatro dell'Elfo a Milano fino a domani - tre donne palestinesi condividono attraverso la preghiera a Maria un grido inconsolabile. Zeinab chiede vendetta per l'amica Sharifa, vittima di uno zio criminale che l'ha prima violentata, poi fatta sparire e infine, ucciso il fratello, ne ha preso il posto in famiglia. Intisar, figlia di Najib morto in un attento e sorella di Fuad misteriosamente scomparso, è attonita di fronte all'improvvisa pazzia della madre, che vaga per le strade della città. Ma quando uno straniero le porterà una valigia stracolma di dollari americani, capirà quale sorte sia toccata al fratello e l'odio contaminerà anche la sua preghiera. Douhah sceglierà la casa di Maryam non solo per pregarla, ma anche perché, perso l'unico miracolo della sua vita, il piccolo Alì dodicenne, quello è l'unico luogo dove può abitare, ovvero sopportare di sentirsi morta con lui.

Maryam è la madre di Gesù nel Corano, l'incredibile ma reale possibilità di incontro tra due fedi e due culture: a lei spetta il cameo finale, la risposta al perché del male e della perdita e la proposta d'amore. Le tre donne e Maryam sono voci prima che corpi e potrebbero abitare in centinaia di vittime, troppo spesso anonime. Così, come una moltitudine, le fa sentire sul palco Ermanna Montanari (tre volte premio Ubu come miglior attrice), alla quale spettano tutti e quattro i ruoli: invocazioni babeliche, rabbie e ribellioni antiche, che si riversano nel dramma contemporaneo della guerra infinita imbalsamata dai media, cui il teatro restituisce dimensione di verità.

L'idea di Maryam è venuta a Doninelli nella Basilica dell'Annunciazione di Nazareth, dove è stato tra il 2005 e il 2006. Lì ha visto le file ininterrotte di musulmane devote alla Madonna e ha compreso che quelle donne portavano alla grotta la certezza di essere ascoltate: Maria ha subìto la stessa umiliazione e la stessa ferita di morte. Lo spettacolo si regge quindi su un testo potente, che dà rilievo all'umana sofferenza e alle ragioni del cuore, più che a quelle della fede.

La messinscena, prodotta dal Teatro delle Albe di Martinelli, sostiene questa potenza con monoliti di luce, proiezioni di cifre arabe sul velo sottile che divide il pubblico dal martirio e le folgoranti musiche tribali di Luigi Ceccarelli.

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