Visibilmente dimagrito e come ringiovanito. Carlo Verdone si è da pochi giorni portato a casa il Premio Manfredi insieme ad Antonio Albanese consegnato a Taormina durante la cerimonia dei Nastri d'Argento per il film L'abbiamo fatta grossa. Ma non si sente l'erede di nessuno. Né di Nino Manfredi, cui è intitolato il premio ricevuto, né di Alberto Sordi. "Sono l'erede di me stesso", ribadisce il regista romano classe 1950 a chi cerca, per forza, gli apparentamenti, le analogie, i lasciti. Nel buen retiro in Sabina, nella cui villa di famiglia fa bella mostra la biblioteca del padre Mario, critico cinematografico, scrittore e severo professore anche del figlio, che non esitò a bocciare - giusto per dargli una lezione -, l'autore è al lavoro sul suo prossimo film. La sceneggiatura, scritta a sei mani da Carlo, Pasquale Plastino e Paola Mammini, per ora è arrivata a pagina 57. "Una commedia corale, dove esplorerò la fragilità e le debolezze della convivenza, ai tempi d'oggi", anticipa. Inizio riprese a marzo 2017 e, nel frattempo, duro lavoro di scrittura. Come si faceva un tempo: tutti insieme, intorno a una tazza di caffè. A discutere.
Nino Manfredi e Alberto Sordi, due icone del nostro cinema. Quali differenze tra loro?
"Albertone era una maschera, mentre Manfredi un attore diverso, più eclettico, che ha interpretato ruoli comici e drammatici. E un capolavoro come Straziami, ma di baci saziami Nino, per me, resta uno dei punti di riferimento della grande commedia italiana. Un gigante della recitazione. Con Sordi, al quale con mio fratello Luca abbiamo dedicato il documentario Alberto Il Grande, circolava una complicità incredibile. Un po' come tra padre e figlio, tra allievo e maestro".
A quanto dice, non esistono eredi di Sordi?
"Non ci può essere comparazione con Sordi: era un tipo preciso, cercava la verità e, se cercavi d'ingannarlo, ti dava sberle in faccia e calci nel sedere. Quando facemmo i sopralluoghi a casa di Alberto, per girare il documentario, mi colpì che in casa Sordi non esistevano fotografie di colleghi, di registi, di sceneggiatori. Mentre abbondavano le immagini dei papi e della famiglia Sordi al completo. Tutte senza cornici... Manfredi, invece, più amante della compagnia, era uno capace di tutto: ha fatto teatro con Strehler, ma anche Rugantino al Sistina. Un colonnello della risata".
Di che cosa parlerà il suo prossimo film?
"E' una storia con molti personaggi che interagiscono: la sto scrivendo con Pasquale Plastino, mio storico co-autore e con la Mammini, col suo tocco femminile. Protagonista, la crisi delle coppie. Stavolta voglio affrontare temi e psicologie diverse tra loro, ma accomunate, tutte quante, da un unico ambiente assai particolare. Le donne avranno il massimo rilievo. Oltre a curare la regia, mi ritaglio anche un personaggio. Gli altri interpreti? Ce li ho tutti in mente e saranno quasi tutti giovani emergenti. Ma devo sottoporli al vaglio del mio produttore, Aurelio de Laurentiis".
Ai Nastri d'Argento, Checco Zalone non ha avuto alcun riconoscimento: come mai?
"La forza di Zalone è la sua straordinaria scorrettezza: l'ha fatta diventare un'arma vincente. Lui riesce a dire tutto con il suo stile e sa portare questo suo dono al cinema".
E' vero che avrebbe interpretato volentieri I Vitelloni di Federico Fellini?
"Quando ho visto al cinema questo film straordinario, ero molto piccolo. Ma oggi, darei qualsiasi cosa pur di fare un qualsiasi personaggio de I Vitelloni".
Spesso ha detto di voler tornare a recitare con suo cognato, Christian de Sica: è previsto?
"Per il momento, no.
Anche se vorrei fare qualcosa con lui: abbiamo iniziato insieme, interessandoci al mondo del cinema e girando i primi video in Super8 con Isabella Rossellini. Il titolo d'un possibile lavoro ce l'ho già: I due cognati".
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