Nel 2007 arrivò a Umbria Jazz - atteso come il Messia - a bordo di un aereo privato e ammonì i 4mila presenti: «niente foto, niente telefonini, niente colpi di tosse. Altrimenti interrompo il concerto, voi ci rimettete i vostri soldi e io me ne vado da questa dannata città». Lo show parte alla grande ma poi qualcosa accade, un flash assassino o qualche colpo di tosse e lui continua ancora per qualche minuto poi lascia il pianoforte e se ne va, lasciando i fan imbestialiti che fischiano e gridano «imbroglione». Ecco in poche parole genio e sregolatezza di Keith Jarrett, il più grande interprete del piano jazz moderno. Difficile non amare la sua musica complessa e dinamica; (quasi) impossibile capire l'uomo e le sue stranezze, come la «sindrome da fatica cronica» che lo colpì alla fine degli anni '90 condizionandone pesantemente la carriera. Il fatto è che per lui suonare il pianoforte è un'esperienza fisica totalizzante che gli ha provocato gravi danni alla schiena e al collo, così come l'improvvisazione è una forma mentis che lo coinvolge completamente da quando, ragazzino, ascoltò gli album di Oscar Peterson e Dave Brubeck: «Il piano è come un toro - ha detto - e devi saperlo domare per farlo ballare con te, così come l'improvvisazione è un modo di vomitare la musica, di buttare fuori quello che c'è dentro al tuo corpo».
A 67 anni la sua filosofia è sempre la stessa; da oggi è in tournée in Italia (partenza dal teatro San Felice di Genova, mercoledì al Lingotto di Torino, il 27 al Petruzzelli di Bari e il 29 al Parco della Musica di Roma)con lo storico Standards Trio formato da Gary Peacock e Jack DeJohnette. I fan aspettavano in questi giorni l'uscita di un album del Trio dal vivo a Lucerna nel 2009 ma Jarrett, spiazzando tutti, ha pubblicato Sleeper, un album di inediti, sempre dal vivo, inciso a Tokyo nel '79 (prima dello scioglimento)dal suo European Quartet con Jan Garbarek, Palle Danielson, Jon Christensen. «Era più avanti di tutti - ricorda Garbarek - il suo tocco, il ritmo sempre presente, le sorprendenti svolte melodiche, l'abilità di suonare in modo unico, semplice e complesso al tempo stesso». Uno stile che Jarrett matura studiando composizione fin da bambino, rifuggendo le sirene di una borsa di studio parigina alla corte di Nadia Boulanger ma entrando a 20 anni nei combattivi Jazz Messengers di Art Blakey, da cui passa al quartetto di Charles Lloyd per poi formare, nel '67, il suo primo trio con due nomi d'eccezione come Charlie Haden e Paul Motian. Jarrett è un classico e s'identifica con il pianoforte acustico; uniche deviazioni «elettriche» sono quelle nella band di Miles Davis ma il pianista è categorico: «non ho mai creduto, come Herbie Hancock o Chick Corea, che il futuro delle tastiere fosse nell'elettronica».
Non a caso compone musica classica, sinfonica, incide Il clavicembalo ben temperato di Bach e tanti dischi accademici e numerosi album solisti di grande classe che partono da Facing You (1971) e passano per Koln Concert, con i suoi oltre tre milioni e mezzo di copie l'album più venduto di piano solo. Jarrett l'artista tradizionale che in trio fa rivivere (sempre riarrangiandoli alla sua maniera) gli stilemi bop; Jarrett il classico; Jarrett l'improvvisatore totale ha un segreto per essere uno e trino. «La musica è dentro di me e mi sgorga da tutti i pori; l'importante è farla uscire ora controllandone il flusso, ora lasciandola scivolare fuori senza argine. Per esempio i pianisti classici, che suonano davanti ad uno spartito, tengono la fantasia al guinzaglio. Ecco perché il grande pianista rischia la schizofrenia. Nonostante l'improvvisazione, io sono sempre sotto stress». Genialità e autodifesa (quando viene attaccato dai fan sostiene che il pubblico è indispensabile per la sua creatività, ma allo stesso tempo il rumore fa fuggire la musica dalla sua testa), atteggiamenti da star e cura dell'immagine si sposano in questo immaginifico artista che l'anno scorso ha pubblicato il cd di piano solo Rio e che ora - pare - darà alle stampe un disco di sonate per violino e pianoforte di Bach e che non sembra più soffrire crisi d'identità o creative.
I jarrettiani più accaniti lo seguono per tutta Europa - concerto per concerto - e chi ha già assistito ad alcune tappe del tour programmato per stasera con Peacock e DeJohnette, preannunica pagine di improvvisazione totale da non perdere.
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