Designated Survivor 3: i colpi di scena non bastano più

Designated Survivor è tornata con la sua terza stagione grazie a Netflix, ma la storia rimane la stessa e la sua fine sembra di nuovo segnata

Designated Survivor 3: i colpi di scena non bastano più

Designated Survivor, dopo le due stagioni firmate ABC, venne cancellata a causa del calo di ascolti, salvo poi essere resuscitata da Netflix per una terza stagione, disponibile dal 7 giugno scorso.

La nuova stagione di Designated Survivor si distingue dalle precedenti, ma solo per quanto riguarda due elementi superflui: parliamo del numero di episodi, dieci anziché gli oltre venti, ed all’intro con musica leggermente diversa rispetto al passato, anche se pur sempre dai toni “epici”. Per il resto vengono ripresi gli eventi da dove li avevamo lasciati con la fine della seconda stagione e con il ritmo di quanto visto fin dal primissimo episodio.

Designated Survivor, ambientata nella vita politica di Washington, racconta una storia di continue disgrazie istituzionali, e non solo, che va oltre gli scandali politici e gli attentati terroristici visti in altre serie tv tipo Homeland e che purtroppo accadono anche nella realtà. La serie che vede protagonista e produttore Kiefer Sutherland, iniziò con il mostrare l’esplosione del Campidoglio durante il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato dal Presidente USA al Congresso in seduta plenaria, unico momento nella vita istituzionale americana in cui sono presenti tutte le maggiori cariche del Paese. Tom Kirkman, quale “sopravvissuto designato”, da Segretario della casa, diviene così, suo malgrado, Presidente degli Stati Uniti.

Fin dall’inizio quindi la serie ha mostrato le sue intenzioni: il colpo di scena ai massimi livelli senza alcuno scrupolo. Questa premessa viene mantenuta nel seguito, alternata con la titubanza nel restare in carica da parte di Kirkman. Il presidente che non voleva essere presidente è ovviamente una persona integerrima che non scende a patti e che quindi si trova a disagio nel mondo politico della capitale, in cui il compromesso è invece d’obbligo.

Nonostante i continui colpi di scena la serie non riuscì a conquistare il pubblico e fu cancellata dalla ABC. Netflix, come con Lucifer, ha deciso però si riportarla in vita con una nuova stagione. I risultati sono diversi rispetto al successo di Lucifer e nella terza stagione Designated Survivor ripropone i medesimi contenuti che hanno portato alla sua cancellazione. Oltre agli eventi catastrofici parliamo anche dell’esasperante carattere del personaggio di Kiefer Sutherland.

È vero che anche il Presidente degli Stati Uniti è un essere umano come tutti, che quindi può avere momenti di difficoltà con tutte le decisioni che deve prendere ed è altrettanto vero che Kirkman non voleva fare politica per diventare poi l’inquilino della Casa Bianca, ma il suo è un personaggio che è in balìa degli altri e che non perde occasione per ostentare il suo buonismo, sottolineando di continuo moralità e protesta contro la vecchia politica. Nella terza stagione, nonostante i continui ripensamenti sul suo incarico, Kirkman decide di candidarsi per un nuovo mandato. Il buon presidente quindi si butta nella mischia della corsa elettorale da indipendente contro politici più esperti e sopratutto incardinati nel sistema bipartitico, aggiungendo alla smisurata lista dei suoi problemi (i soliti), anche la candidatura.

I tempi di House of Cards con il decisionismo e le trame di potere di Kevin Spacey nei panni di Frank Underwood sono lontani e in questa serie vediamo il suo opposto per un risultato deludente.

Ad oggi, oltre ad Underwood, l’unico presidente USA che ha saputo conquistare il piccolo schermo rimane Martin Sheen nel ruolo di Josiah Bartlet in West Wing, ma in quel caso c’era un grande sceneggiatore come Aaron Sorkin a tenere alto lo share.

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