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La diagnosi choc di Freud: "I gay? Paranoici e nevrotici"

Hans Blüher, ex membro dei Wandervogel, teorizzava una società basata sull'"inversione". Ma fu respinto

La diagnosi choc di Freud: "I gay? Paranoici e nevrotici"

Tra il 1912 e il 1913, Sigmund Freud aveva tre problemi non da poco. Due erano esterni, pubblici, il terzo era interno, intimo. Partiamo dall'esterno. L'internazionale psicanalitica, nata al Congresso di Norimberga nel marzo del 1910, registrava già le defezioni di grossi calibri, come Adler, Stekel, Bleuler e Jung: una diaspora inaccettabile per il padre-padrone, offeso dal comportamento irriconoscente degli allievi. Inoltre la psicanalisi stessa veniva percepita da molti come una materia da ebrei; dunque, vuoi per bieco razzismo, vuoi per diffidenza nei confronti di una scienza nata in un contesto fortemente connotato dal punto di vista culturale come la Vienna ebraica, la si guardava o con odio o con sospetto. Quanto al problema interno, riguardava ancora Jung. In una lettera di fine '12 a Ernest Jones, suo futuro biografo, Freud parla di sé stesso e lamenta «un pizzico di nevrosi», e dice che nel suo rapporto con Jung «si trova, dietro, una porzione di un sentimento omosessuale incontrollato». Insomma, anche l'uomo che della psicanalisi era il totem, aveva un tabu...

Il caso volle che il 2 maggio 1912 a Freud si rivolgesse per lettera, caldeggiando la pubblicazione di un suo articolo sulla rivista Imago, un tale che avrebbe potuto dare una mano a der Professor per risolvere tutti e tre i suoi problemi. Il berlinese Hans Blüher aveva 24 anni, si era abbeverato alla fonte psicanalitica leggendo con entusiasmo le opere di Freud, era stato fra i primi ad aderire al Wandervogel, il movimento giovanile tedesco di opposizione alla società borghese, qualcosa fra il comunitarismo agreste e lo stile di vita hippy, di cui stava pubblicando una corposa storia in tre volumi, l'ultimo dei quali ne costituiva, per così dire, l'apparato filosofico, incentrato sull'amore virile come fondamento dello Stato, in opposizione alla ginecocrazia, basata sulla famiglia.

«Sarà proprio Freud uno dei primi lettori di questa terza parte, ancora inedita (e si potrebbe perfino ipotizzare che la sua lettura abbia potuto influenzarlo nelle riflessioni di quel tempo, specificamente quella che poi lo condurrà alla stesura di Totem um Tabu)». Lo afferma Gabriele Guerra, docente di Letteratura tedesca alla Sapienza di Roma, nell'introduzione a Sull'inversione. Carteggio su omosessualità, eros e politica (1912-1913), vale a dire lo scambio epistolare fra Blüher e Freud (Castelvecchi, pagg. 98, euro 13,50). Il punto nodale del confronto fra il giovane... studente in Dad e il quasi sessantenne maestro è appunto l'«inversione». «Inversione» che Blüher prima aveva conosciuto nell'ambito della filologia classica (l'eros paidikos, la «pederastia pedagogica» dei filosofi greci), poi aveva vissuto personalmente (con il compagno di wandervogelismo Willie Jansen), infine ora faceva assurgere, come accennato sopra, ad autentica filosofia morale a dispetto della morale accademica da filistei e a filosofia politica a dispetto dei perbenisti. Tuttavia, come spiega benissimo Stefano Franchini nel saggio che precede il carteggio, per quanto Freud accolga con interesse la teoria di Blüher, il pansessualismo psicanalitico del primo non arriva al punto di abbracciare l'omoerotismo del secondo, che Franchini definisce «psicosessuologia sociale dell'età evolutiva».

Anche al netto di una certa spocchia manifestata da Blüher quando parla di «ambiguità» e di «incrinature» nella dottrina freudiana, e anche sorvolando sulla pretesa dello stesso di veder uscire a tempo di record il suo articolo «Niels Lyhne di J.P. Jakobsen e il problema della bisessualità» (con il refuso della «k» al posto della «c»), sull'omosessualità Freud aveva allora, e continuerà ad avere in seguito, una posizione che Blüher non poteva accettare. La illustra chiaramente una lettera del Professor molto posteriore, del 1935 (ma scoperta pochi anni fa), in cui, rivolgendosi a una madre che gli aveva chiesto consigli su come comportarsi con il proprio figlio omosessuale, rispondeva fra l'altro: «L'omosessualità non è di certo un vantaggio, ma non c'è nulla di cui vergognarsi, non è un vizio, non è degradante, non può essere classificata come una malattia, riteniamo che sia una variazione della funzione sessuale, prodotta da un arresto dello sviluppo sessuale».

L'espressione «arresto dello sviluppo sessuale» dice molto. Dice che secondo Freud all'omosessuale manca qualcosa, e questo qualcosa che manca è la causa di una psicopatologia. Laddove, al contrario, per Blüher l'omosessualità del Männerbund, traducibile con «lega maschile» o «lega virile», è una conquista, un'emancipazione. Per questo lui uscì dal Wandervogel quando vide gli omosessuali repressi, che definisce «nevrotici», diventare i persecutori di quelli «sani». Ma Freud, dopo avergli detto che il lato più negativo dell'inversione è «l'impotenza con la donna» (del resto, non poteva aver visto il bellissimo film del '77 Una giornata particolare, in cui il frocio Marcello Mastroianni, durante la visita di Hitler a Mussolini - Roma, 6 maggio 1938 - prima di essere condotto al confino soddisfa appieno anche sessualmente, oltre che con la sensibilità e l'intelligenza, la casalinga disperata - e stupita - Sophia Loren...), rincara la dose: «I Suoi persecutori sono più che altro autori di una rimozione e non si può chiamarli nevrotici, tranne in casi davvero spuri, poiché a loro la rimozione dell'autoriconoscimento riesce anziché fallire. I nevrotici di cui parla Lei sono i perseguitati, i paranoici».

Dopo il breve carteggio, Blüher sparì dalla vita e dalla bibliografia di Freud. Invece il giovane, scrivendo di Freud, oscillò tra ammirazione e disprezzo. Posizioni che comunque non lo resero gradito (tutt'altro) al regime nazionalsocialista in cui, come è noto, abbondavano gli omosessuali «nevrotici» o «autori di una rimozione» che dir si vogliano.

Ma la cosa forse più triste, nella vita di Hans Blüher, è che dovette piegarsi al volere dei più, addirittura sposandosi due volte, nel '17 e nel '22 (dalla seconda moglie ebbe anche due figli). E si dà il caso che da allora abbia iniziato ad assumere posizioni chiaramente antisemite. Del resto, nell'autobiografia Werke und Tage del 1920 affermava: «La lotta contro gli altri è soltanto un teatro di guerra dislocato da dentro a fuori»..

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