Frédéric Beigbeder non ha proprio l'aria di uno di «quei nerd incapaci di accettare il destino», ovvero (questo intende la coprotagonista del suo romanzo) quei miliardari hi-tech della Silicon Valley che inseguono il sogno di un uomo post-umano e immortale. Eppure, in Una vita senza fine (Bompiani, pagg. 300, euro 19; lo presenterà l'8 giugno a Villa Bardini a Firenze, per «La città dei lettori») va a caccia dell'eternità, seppure con francese «frivolezza»; del resto lui, 54 anni, ex pubblicitario, ex conduttore tv, editore, critico, scrittore, migliore amico di Michel Houellebecq, è francesissimo, coi modi disinvolti, il sorriso smagliante, il capello lungo, la camicia bianca sbottonata... L'idea, spiega sotto il sole di Roma, era proprio di «scrivere un romanzo leggero e divertente su una questione triste, importante, filosofica». La morte, e che cosa fare di noi: restare umani, oppure tentare le strade offerte dalla tecnologia, come il protagonista Frédéric, conduttore tv che, compiuti i 50 anni, all'improvviso ha paura di morire, e così visita laboratori e centri all'avanguardia per farsi spiegare dagli scienziati come diventare immortale.
All'inizio del libro spiega che l'inchiesta, e le interviste agli scienziati, sono tutte vere. È così?
«Sì, ho provato a farmi sequenziare il genoma, e anche la trasfusione di sangue con la laser terapia. Sembrava che stessi diventando Darth Vader».
Nella clinica austriaca? È costosissima...
«Oh sì, ma ha pagato il mio editore. Gli ho chiesto: ti interessa un libro che racconti come diventare eterno? Però devo andare a Boston, a New York, a Gerusalemme, a Los Angeles, a Ginevra. E lui ha accettato».
Come le è venuta l'idea?
«Leggendo tanti articoli sul transumanesimo e su come i ricercatori stiano cercando di triplicare la vita, fino a 300 anni. Mi sono detto: sarebbe bello indagare questa cavolata... sarà vera, o sarà una grossa bugia?».
Come ha fatto?
«Ho iniziato a mandare mail a vari scienziati, con domande molto serie. Nessuno ha risposto. Poi ho scritto a tutti una mail in cui spiegavo di avere un buon budget, e chiedevo un preventivo di immortalità. Loro hanno iniziato a rispondere, e io a girare per questi laboratori all'avanguardia».
Che cosa ha scoperto?
«Ho imparato moltissimo. Mi spiegavano le cose come fossi un bambino di 5 anni. Al quinto piano della Harvard Medical School, per esempio, cercano di resuscitare i mammut. Sa, amo la fantascienza, ma qui ho potuto scrivere un libro che racconta cose ancora più folli, e che sono persino vere».
Con toni da commedia, però.
«L'indagine è seria, ma quest'uomo, uno che alla figlia dice cara, per secoli le persone sono morte, ma ora è finita, beh, è un pazzo, con l'obiettivo di un pazzo, e sono io».
Ha paura della morte? Di invecchiare?
«Certo, come tutti. Non voglio diventare un uomo pelato e grasso che ripete sempre le stesse cose, però cerco di riderci sopra».
La salute, la dieta, le cure: non sono un'ossessione?
«Viviamo in un mondo fascista: a nessuno è consentito di diventare grasso, vecchio o con le rughe. Nascondiamo i malati alla vista. È totalmente tabù. Così parlo della morte come parlerei della cosmesi».
È per questa paura di invecchiare che cadiamo nel «selfismo», come definisce la mania dei selfie?
«Il selfie è il nuovo cogito: se ho dei like, allora esisto. Ma credo anche che il selfismo sia una ideologia. Il primo stadio è Facebook: i like, il proprio volto sempre esibito, i falsi amici e le false notizie».
Non ama i social?
«Non ne ho. Dovrei lavorare gratis per Zuckerberg?».
E dopo, che cosa prevede l'ideologia?
«Di migliorarci, fino a diventare dei superuomini. Prima il sacrificio della nostra intimità, poi la disumanizzazione, infine il diventare dei computer, artificiali: non saremo più umani ma, forse, vivremo per sempre».
Non le fa paura?
«Certo. È totalmente nazista».
Qualche terapia l'ha spaventata?
«In Austria, quando mi hanno infilato il laser in vena, era davvero strano. E dire che in quella clinica vanno in molti, da Putin a Uma Thurman».
Ha provato anche la dieta?
«Molto difficile. Niente grassi, zuccheri, alcol, poche proteine: solo tofu, broccoli e acqua. Dopo dieci giorni vai fuori di testa. E poi le purghe... vedi questi miliardari, in accappatoio e ciabatte, che a pranzo si alzano ogni cinque minuti per andare al bagno. Per essere immortali».
Perché questa mania salutista?
«Perché in un'epoca materialista la morte è la fine di tutto. Allora cerchi delle soluzioni: una vita breve, ma divertente, oppure una vita lunga, e noiosa. La mia risposta è in questo bicchiere di rosso».
Che cosa farebbe se vivesse 300 anni?
«Se fossi in forma, non penso avrei problemi a godermi la vita. Viaggerei in Paesi che altrimenti non vedrei mai, leggerei i libri che non ho mai finito, come Proust, guarderei tutto Bergman, potrei sposarmi 30 volte anziché tre...».
Nel libro cita il suo amico Houellebecq. Avete parlato dell'argomento?
«Lui se ne è occupato in due libri, Le particelle elementari e La possibilità di un'isola. La sua idea di immortalità era di trasferire la memoria in un corpo nuovo, con la clonazione; la mia è diversa, potremmo salvare il nostro corpo, attraverso le modifiche al Dna, oppure grazie a organi di maiale, o grazie al brain uploading».
Che cosa ha detto del suo libro?
«Ha apprezzato soprattutto le parti scientifiche e le conversazioni con gli scienziati».
Lei dice anche, citando proprio Houellebecq, che, invecchiando, l'ateismo è duro da sopportare.
«È doloroso non avere la speranza di un'altra vita. Molti tornano indietro, alla religione. Michel sta combattendo moltissimo per essere cristiano».
La terapia più folle che abbia visto?
«A Monterey, in California, dove c'è un istituto in cui ti iniettano sangue giovane in vena. Dei vecchi e ricchi signori, come me, si sparano il sangue dei ventenni, come vampiri. Non ho voluto provarlo».
Ha fatto una lista: i vantaggi dell'umano e del post-umano. Quali sceglie?
«Preferisco essere umano, perché il sesso è migliore».
Ha provato il sesso post-umano?
«In effetti no, ma un gioco erotico robotico collegato con la mente...».
D'accordo. E che cosa invidia ai post-umani?
«Grazie ai
Google glass possono riconoscere chiunque e avere informazioni su di lui. A una cena è molto, molto pratico. Certo, è la fine della vita privata ma, tanto, quella è un vecchio concetto, l'abbiamo già data via per i like».
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