Dura ma credibile: ecco la fiction su Ambrosoli

Poca retorica e tesi chiare nella miniserie sull'avvocato ucciso per aver fatto il suo dovere

Dura ma credibile: ecco la fiction su Ambrosoli

Le lacrime, per una volta, non vanno a braccetto con la retorica. La commozione c'è ed è giusto che ci sia quando si racconta la storia di Giorgio Ambrosoli, l'avvocato chiamato a fare il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, ma la fiction diretta da Alberto Negrin - in onda il 1 e il 2 dicembre su Rai1 in prima serata - ha il pregio della narrazione a ciglio asciutto. Molta azione, primi piani inquietanti che rimandano all'epica di Sergio Leone, cartoline dei palazzi simbolo del potere di qua e di là dell'Oceano che fanno molto Dallas : la miniserie Qualunque cosa succeda , presentata ieri a Milano nella cornice austera e satura di memoria della Banca d'Italia, potrebbe essere, incrociamo le dita, quel che Gomorra rappresenta per Sky. Un prodotto raffinato ed esportabile, appetibile in molti paesi, il lato cinematografico del made in Italy che va alla conquista del mondo. Gli ingredienti ci sono. L'intrigo che mette insieme il Cupolone di san Pietro, i massoni della P2, la politica della prima repubblica, un banchiere spregiudicato con agganci dentro la grande criminalità. Per fortuna il copione è sì semplificato, ma non cede alle suggestioni e alle torsioni della solita dietrologia illeggibile di marca tricolore. Per esempio sul capitolo della morte di Michele Sindona, catalogata senza se e senza ma alla voce suicidio.

Ambrosoli, prima citazione anti-retorica, è un perfetto signor nessuno e proprio per questo viene catapultato a mettere ordine nel saccheggio dell'istituto di credito. Pierfrancesco Favino, ormai un volto familiare per milioni di italiani, interpreta con consumata perizia la parte del legale che entra dalla porta di servizio dentro un intrigo più grande di lui e cerca di condurre l'inchiesta tenendo la sua vita sui binari della normalità. Senza cedere a tentazioni, offerte, lusinghe, minacce e senza lasciarsi travolgere da una storia così intricata e oscura. Lo fronteggia Sindona, un Massimo Popolizio che muove con straordinaria disinvoltura il risiko del potere tarantolato dall'incursione imprevista e non facilmente arginabile di quella formichina di rito ambrosiano che lavora giorno e notte, insegue i conti miliardari e i loro clienti facoltosi e altisonanti su e giù fra Liechetstein, Svizzera e via elencando, piano piano paralizza il grande network sindoniano. «È un'Italia spezzata in due - racconta la direttrice di Rai fiction Eleonora Andreatta - quella che rappresentiamo». Con Ambrosoli stanno i vertici della Banca d'Italia, Baffi e Sarcinelli, che pagheranno duramente la loro onestà e saranno addirittura inquisiti e trattati come delinquenti. Dall'altra parte ci sono il tentacolare Gelli, i torbidi generali della Guardia di finanza, il cinico monsignor Marcinkus e buona parte del potere politico. Con un Giulio Andreotti meno sfumato e impenetrabile del solito, anzi decisamente sbilanciato e a nostro parere troppo esplicito, quasi organico alla rete del malaffare. A lui è dedicata l'amarissima scena finale ripresa da un'intervista di Giovanni Minoli. Il sette volte presidente del consiglio risponde serafico: «A Roma si dice che Ambrosoli era uno che se le andava a cercare».

Si resta smarriti e si capisce, da quelle parole così poco felpate e per nulla guardinghe, quanto profonda sia la ferita che attraversa come una falla la storia d'Italia e la sua coscienza civile. L'Italia resta un Paese slabbrato in cui le istituzioni funzionano a singhiozzo e chi fa il proprio dovere si trova subito appiccicata addosso l'etichetta di eroe. Spinta poderosa verso il non richiesto martirio che arriva puntuale per Ambrosoli la sera dell'11 luglio 1979.

A portare la bara sarà il fedele maresciallo Silvio Novembre, prototipo dell'italiano perbene, umile e dalla schiena dritta. Ed è Novembre, silenzioso ed emozionato, a raccogliere la standing ovation finale e l'abbraccio di uno strepitoso Andrea Gherpelli, il giovane che gli ha prestato quella faccia colma di senso del dovere e fatica.

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