Gli uomini che fecero l'impresa. Il primo, piemontese ostinato, era Cesare Pavese (1908-50), scrittore, poeta, uomo puro di editoria, gran consigliori del divo Giulio. Il secondo, napoletano permaloso, era Ernesto de Martino (1908-65), dottissimo antropologo, storico delle religioni, etnologo meridionalista e lettore infaticabile. Si conoscevano bene, lavorarono fianco a fianco per anni, si stimavano, ma non si può dire che andassero d'accordissimo. Avevano idee diverse, sia sulle «nuove» scienze, sia sull'editoria. Eppure, insieme, a volte irrigidendosi il primo, altre volte cedendo il secondo, diedero vita - nella curiosa indifferenza dell'editore Einaudi - a una delle più straordinarie collane del nostro '900: la «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici», detta anche «Collana viola» per il colore della cornice che caratterizza la copertina, edita dall'Einaudi dal 1948 (ma pensata già durante la guerra, almeno dal '44) e poi nel '57 trasferita alla Boringhieri. Fu, per il mondo italiano degli studi, una rivoluzione. Per la prima volta, rivolgendosi al grande pubblico, venivano affrontati da un punto di vista laico le religioni, tutte, non più intese come universo devozionale, ma culturale, e campi del sapere poco o nulla battuti, come la psicologia, l'antropologia, l'etnologia, i mondi «primitivi», il mito, la magia, il folklore. Criterio culturale: «storicizzare l'irrazionale». Fra gli autori e titoli culto: Carl Gustav Jung, Károly Kerényi (Figlie del sole), Bronisaw Malinowski (Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi), Émile Durkheim (Le origini dei poteri magici), Mircea Eliade, Georges Dumézil e studiosi come Giuseppe Cocchiara o Raffaele Pettazzoni e altri magari anche compromessi con il Manifesto della razza del 1938... Pavese e de Martino - la cui strepitosa avventura viene raccontata dal loro carteggio, oggi riedito con inediti e nuovi apparati: Cesare Pavese e Ernesto de Martino, La collana viola (Bollati Boringhieri, pagg. 304, euro 24; a cura di Pietro Angelini) - non guardavano alle idee politiche, ma alla sostanza del messaggio.
Così nuovo che fu capace di scandalizzare, affascinare e appassionare non solo l'intellighenzia ma anche i lettori comuni, che scoprirono la «Viola» grazie ai Remainders di Biagio Melloni negli anni '60-'70, aprendo un'inquietante e fertile finestra sul «lato oscuro dell'anima».Quando i libri cambiano un Paese.
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