Cultura e Spettacoli

Eccessivi, "corretti", chiassosi Cafoni, il catalogo è questo

Un manuale (d'autore) di «belle maniere» al contrario, alla ricerca del vero coatto. Così da evitarlo meglio...

Eccessivi, "corretti", chiassosi Cafoni, il catalogo è questo

Luigi Mascheroni

La buona educazione, notava Anton Cechov, scrittore impeccabile nella sua redingote e sulle sue pagine, non sta nel non versare la salsa sulla tovaglia. Quello può capitare a tutti. Ma nel far finta di nulla se qualcun altro lo fa. Si chiama eleganza. È il motivo per il quale i veri cafoni non sono tanto i personaggi famosi che si scannano per una ciotola di riso sulla relativa Isola. Quanto le anonime persone che sadicamente li guardano in tv per vedere quanto sono orrendi. E questa è solo l'«Isola dei cafoni».

Poi - visto che la cafonaggine non conosce stagioni - ci sono i «cafoni di mare», equamente distribuiti tra «di destra» e «di sinistra», con i primi che giocano urlando a racchettoni, e i secondi che leggono in silenzio i libri da spiaggia di Gramellini, e non si sa cos'è più volgare. I «cafoni di Natale», che spediscono lo stesso messaggino identico a tutta la rubrica. I «cafoni del buon compleanno», che non li senti mai, tranne il giorno degli auguri. I «cafoni del carnevale», che trasformano una giornata come tutte le altre in una buffonata (quando la vita è già di per se una farsa): il bambino si traveste da adulto, e l'adulto da bambino, senza capire chi tra i due è più deficiente. Senza contare che per molti - bambini e adulti - il costume di carnevale è mediamente più elegante della tenuta di ogni giorno, fra tute, scarpe da ginnastica, felpe e cuffie da trogloditi selvaggi. «Tu Cita, lei jeans».

Facilissimo da riconoscere e difficilissimo da definire, il cafone è ovunque, e in chiunque ce n'è un riflesso. La differenza è solo nella cornice dello specchio che si sceglie: pacchiana o raffinata. E come si decide cos'è fine e cosa volgare? Leggendo, ad esempio, Il vero cafone. Ciò che non dovremmo fare e facciamo tutti (Mondadori), anti galateo d'autore - o meglio rovescio della medaglia del celebre «Manuale di belle maniere» dal titolo Il vero signore firmato nel 1947 da Giovanni Ansaldo, in arte Willy Farnese - per riconoscere il cafone moderno. Perché se lo stile è qualcosa di eterno, l'inciviltà - come i costumi in generale - cambia col tempo. E tocca adeguarsi a cosa non indossare, come non comportarsi, dove non andare, chi non frequentare, quando non parlare... Silenzio, parlano due signori.

Scritto a quattro mani, ognuno col proprio stile, da Vittorio Feltri e Massimiliano Parente - troppo elegante per poter sopportare un'impercettibile mancanza di gusto il primo, alieno dal concetto di misura per potercisi minimamente adeguare il secondo - Il vero cafone riguarda purtroppo tutti noi. Nessuna categoria esclusa. Ecco qua - capitolo dopo capitolo - «I cafonalmente corretti», «I culturalmente cafoni», «I cafoni in bicicletta», «I cafoni con il Suv» (che però alla fine se la passano meglio dei cafoni con la Skoda), «I cafoni social addicted» - ma anche i cafoni che usano la parola addicted -, «I cafoni da buffet», «I cafoni in cravatta» (che si capisce subito che non la portano mai, «e fanno bene, perché non hanno alcun gusto nel portarla, né nell'abbinarla»), «I cafoni scravattati» (i peggiori, perché piuttosto che portare una cravatta allentata è meglio non metterla: «Il nodo è l'anima della cravatta, fa la differenza: se è duro, stretto, incollato al pomo di Adamo è la quintessenza della sciccheria, un tocco inconfondibile di classe; se ha la dimensione di una boule è il distintivo del cafone»). E via zoticando.

Esatto opposto dell'eleganza - che non è nient'altro che l'aspetto estetico del senso della misura - la cafonaggine è prima di tutto una mancanza. Di limiti, di equilibrio, di regole. Qualsiasi suffisso accrescitivo è, di per sé, spia di una cafonaggine. Grande, grosso e Verdone. «Ah Enza, ma che te sei lavata co a' nafta??». «No, perché?». «Me pare che c'è passato un peschereccio!». «Ma no è l'olio abbronzante». Sarà per questo che se ne incontrano tanti durante le Ferie d'agosto. Quelle che adora il vero cafone. Di destra e di sinistra. I veri signori, o non fanno ferie o le fanno tutto l'anno. Loro sì che sono liberi.

Perché alla fine, il cafone è solo uno che è «costretto». E infatti si dice anche coatto. Costretto dalle mode (si legga il capitolo «Il cafone salutista», ma anche «Il cafone vegano»), dalle abitudini (e sono tante...), dalla società dell'immagine che ti obbliga ad apparire («Il cafone da selfie» per gli anonimi, «Il cafone da talk show» per i vip), dalla ricerca di approvazione sociale («Il cafone con il rotolo dei soldi», «Il cafone vestito a festa», «La cafona da Louis Vuitton»...). Il cafone è costretto ad alzare la voce per farsi ascoltare, a esagerare nei colori per farsi notare, negli atteggiamenti per farsi vedere. Il cafone è chiassoso, esibizionista, prepotente.

Il cafone è, semplicemente, chi fa di tutto per essere al centro della scena. Scegliendo il modo peggiore. Non si spiegherebbe altrimenti lo straordinario successo della moda delle mimetiche tra i cafoni. «Se ne vedono sempre più spesso, indossate da gente di ogni età: giubbotti mimetici, pantaloni mimetici, cappelli mimetici. Che, ovviamente, usati in città, producono l'effetto contrario: questi imbecilli spiccano tra la folla, non puoi non vederli».

Ecco perché ne siamo circondati.

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