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Ecco la "Padania" degli Afterhours

Il nuovo disco del gruppo milanese, secondo in classifica, racconta bene il nostro presente. Senza slogan e senza cercare a tutti i costi l’applauso

Ecco la "Padania"  degli Afterhours

Il titolo giusto al momento giusto: Padania. La fortuna però non c’entra e neanche il marketing.C’entra invece il fiuto e la capacità di sapere interpreta­re la realtà con un certo anticipo sui tempi. Gli Afterhours sono una band milanese con un passato (e un presen­te) che dimostra quanto sia bello il rock cantato in italiano, a patto di evita­re la banalità in cui sono specializzati i nomi che vanno per la maggiore in ra­dio.

Germi ( 1995), Hai paura del buio? (1997) e Quello che non c’è (2002) sono titoli da fare invidia alla aristocrazia rockettara britannica e statunitense. Se Manuel Agnelli e Giorgio Prette, ani­me del gruppo, fossero nati a Seattle e non dalle nostre parti oggi sarebbero sulla copertina di Spin o nella homepa­ge della webzine Pitchfork . Invece han­no dovuto / voluto tentare la strada di Sanremo, nel 2009, con Il paese è reale : sono finiti subito fuori dalla gara ac­compagnati dalle accuse dei fan che non hanno apprezzato il tentativo di al­largare il proprio pubblico (questa set­timana Padania è secondo in classifi­ca dietro ad Antonacci e prima di Va­sco: missione compiuta?).

E dunque Padania . Ovvero il disco che ascolteremo a ripetizione nei pros­simi mesi per capire la disillusione, la decadenza, la crisi che sono la colonna sonora della nostra vita. È un disco poli­tico, come è stato presentato? Sì. Ma il caos della politica è lo specchio del no­stro personalissimo caos. Non ci sono comizi improvvisati, impegno a costo zero, battute per suscitare l’applauso. Qui si guarda un po’ più inalto e un po’ più in là rispetto alla cronaca, e quindi innanzi tutto ci si colloca di fronte allo specchio: «Senza cori né bandiere / è uno stato della mente». Due versi pro­prio da Padania per chiarire: «Che sen­so ha lottare contro un demone / se la dittatura è dentro di te».

La dittatura è l’umanissima spinta a lasciarsi coinvolgere dal mondo per ot­tenere sempre qualcosa in più. Una spinta che degenera in un non sense do­loroso se ci allontana in modo irrime­diabile da quelle che sono le nostre ve­re aspirazioni: «Lotti, tradisci, uccidi per cio che meriti / fino a che non ricor­di più che cos’è / puoi quasi averlo sai! / ... /e non ricordi cos’è che vuoi».Tan­to più forte è la frustrazione in un mo­mento di crisi economica, in cui ogni strada sembra bloccata: «ciò che sem­brava raccolto», la ricchezza, viene spazzato via dalla «tempesta in arrivo» e non possiamo più «decidere cosa sa­r emo ». La Padania, niente a che vedere con i proclami di Bossi, è una regione geografica, concretissima: «Due cimi­niere e un campo di neve fradicia / Qui è dove sono nato e qui morirò». Ma an­che un luogo dello spirito inafferrabi­le: «Se un sogno si attacca come una colla all’anima / tutto diventa vero tu invece no». E una «terra promessa che si scioglie di colpo» lasciandoci con tut­te le domande e nessuna risposta. La di­sillusione abbraccia anche la politica. Sotto i riflettori ci sono persone che ab­biamo amato «per idee che non hanno mai sostenuto». La folla «ormai infero­cita », composta dagli stessi che giura­rono fedeltà, sputa addosso ai propri miti, pronta a trascinarli nella polvere per rifarsi una verginità. In questo gio­co al massacro che conduce al nulla, cerchiamo inconsciamente una cadu­­ta collettiva, che ci sollevi una volta per tutte«dal nostro dovere».Se è anti-poli­tica, è ben diversa da quella che vedia­mo rappresentata in questi giorni nel­le piazze, in televisione e sui giornali.

Una nota sulla musica: il mix di senti­menti contrastanti che emerge nei te­sti si riflette nelle canzoni. In Padania si trovano belle melodie ma anche i brani violenti che sono nello stile della band. In grande evidenza gli archi di Rodrigo D’Erasmo (ma allora è possibi­le usare gli archi senza far venire il mal di pancia all’ascoltatore per la troppa melassa...

) oltre alle incredibili chitar­re «disturbate» (e altri marchingegni) di Xabier Iriondo. Dei testi di Manuel Agnelli, fuori dal comune, si è detto. Spicca l’apporto compositivo di Gior­gio Ciccarelli, autore o coautore della maggioranza dei brani, tutti solidi.

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