Cultura e Spettacoli

Era il Nobel della superiorità occidentale

Nei suoi libri ha dimostrato con grande lucidità che le civiltà non sono tutte uguali

Era il Nobel della superiorità occidentale

È morto il Nobel della superiorità occidentale. Nel 2001 V.S. Naipaul aveva vinto il premio svedese perché i parrucconi terzomondialisti dell'Accademia di Stoccolma dei suoi libri non avevano capito molto, si erano fatti ingannare dal colore della pelle, effettivamente scuretto, e se ne erano usciti con una motivazione che avrebbe potuto funzionare con dozzine di altri autori di tutt'altro orientamento: «Per aver unito una descrizione percettiva a un esame accurato incorruttibile costringendoci a vedere la presenza di storie soppresse». In crisi di idee come si ritrovano la potrebbero riciclare per premiare prossimamente l'africanofilo Edoardo Albinati, lo scrittore che va in Niger con la fidanzata e scopre che gli indigeni sono tanto belli e tanto buoni, tutto il contrario di noi europei brutti e cattivi e magari perfino elettori di Salvini.

Ecco, lo scrittore anglo-indo-caraibico è stato capace di dirci, con una prosa smagliante e senza mai cedere ad atteggiamenti militanti, immediatamente politici, che non tutte le civiltà sono uguali e che la civiltà occidentale è la migliore. Andatevi a leggere La maschera dell'Africa e scoprirete perché il bestsellerista inglese Robert Harris, un bianco col complesso del biancore, lo ha definito «razzista e tossico».

Andatevelo a leggere prima che il masochismo relativista lo censuri come sta accadendo con Kipling. «Nonostante l'oro e la gloria, il regno ashanti non conosceva la scrittura. Per vederlo come qualcosa di grandioso occorreva essere un Ashanti e consultare (in assenza di rovine spettacolari) gli struggimenti del cuore». E così, con poche parole, l'indiano nato nei Caraibi sotto il dominio britannico (Trinidad nel 1932 era parte dell'impero su cui imperava Giorgio V, il nonno di Elisabetta) liquida l'Africa pre-coloniale e riabilita il colonialismo che a sud del Sahara portò la scrittura e dunque la legge, la ragione, la scienza. Portò anche una religione, il cristianesimo, che proibì i sacrifici umani tipici del paganesimo.

Nel capitolo dedicato all'Uganda, dopo aver visitato un monumento del 1881 Naipaul scrive: «Durante la costruzione del mausoleo erano stati sacrificati nove uomini. Il principe Kassim mi spiegò che un tempo i sacrifici umani erano pratica comune quando si innalzavano le colonne di una tomba». Questa è l'Africa e non è per comodità che uso il tempo presente: nel Continente Nero il ventunesimo secolo sta ricongiungendosi col diciannovesimo, in Sudafrica la fine dell'apartheid ha riportato in auge i sacrifici animali come viene raccontato in un capitolo di questo libro che tutti gli invasionisti (chiamo invasionisti coloro che parteggiano per sbarchi, ricongiungimenti, insediamenti africani in Italia) dovrebbero leggere.

Forse a Stoccolma non se ne sono accorti ma Naipaul ha avuto il coraggio di descrivere il razzismo africano (il razzismo dei neri nei confronti dei bianchi e il razzismo delle tribù nere nei confronti delle altre tribù nere), in passaggi che tralascio di virgolettare perché finirei subito lo spazio. Ripeto, andatevelo a leggere, La maschera dell'Africa. Se poi giustamente temete anche l'islam aggiungo come consiglio di ferragosto Fedeli a oltranza, sempre Adelphi, libro-reportage sui danni causati dal Corano in Indonesia, Iran, Pakistan, Malesia. Viene da apparentarlo a Oriana Fallaci, Naipaul, anche per il carattere indomito. Non era il Nobel della simpatia bensì un vecchio signore conservatore geloso della propria libertà di giudizio e di espressione.

Ci sia di esempio.

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