Un «esule» impegnato e scomodo

Il romanziere difese la dimensione religiosa dal determinismo economico

Marco Settimini

È in una piccola fattoria bianca e azzurra, oggi museo, nei pressi di Barbacena, che Georges Bernanos scelse di fermarsi, nel suo esilio brasiliano. Non che gli fosse piaciuta, ma il nome della collina vicina («Croce delle Anime»), lo aveva conquistato.

Qui, nella regione delle Minas Gerais, «il carattere a volte un po' capriccioso» della Central do Brasil (la posta ferroviaria) faceva sì che alla distanza geografica, immensa e sofferta, dalla sua Francia si sommasse a volte un ulteriore sfasamento temporale. È il caso della lettura ritardata di un articolo del 17 aprile 1942 a firma del direttore di O Jornal, quotidiano che avrebbe dato spazio a sei articoli del romanziere tra il maggio e il settembre dello stesso anno, oggi ritradotti in francese nel secondo dei due volumi di Saggi e scritti di lotta, editi da Gallimard nella Pleïade.

L'autore di Sotto il sole di Satana sente viscerale il dovere di rispondere a Francisco de Assis Chateaubriand, proprietario e direttore del giornale e del gruppo «Diários Associados» e futuro membro dell'Accademia brasiliana, il quale, nel suo articolo O novo gauleiter (Il nuovo collabò) esalta l'idea di una collaborazione, questa volta democratica, tra Francia e Germania. Un «soggetto capitale» ancora oggi per ogni Paese europeo, e a maggior ragione per la Francia, «deposito» di valori che Bernanos sentì sotto minaccia: «Basta che si fermi, o che soltanto diminuisca il ritmo del suo ardente slancio storico, affinché i parassiti intellettuali che pullulano oggi sul mondo come i pidocchi sulla pelle di un animale malato si scaglino immediatamente su di lei come su di una preda», scriverà nel quarto articolo.

Quella che Bernanos difende e cui si rifà, è la Francia dalla secolare vocazione universalista cattolica, deformata da Rivoluzione, Impero e quei «diritti del cittadino» troppo spesso confusi con l'istanza che dà il titolo a uno degli articoli della serie: La difesa dei valori umani (valori e non diritti). L'uomo, scriverà ne La Francia contro i robot, è infatti «animale religioso» e non solo «animale economico», quale lo ha reso la modernità: «non solo lo schiavo ma l'oggetto, la materia quasi inerte, irresponsabile, del determinismo economico».

L'orizzonte che Bernanos intravede in questa nuova collaborazione non è una Pax Europaea, bensì l'interesse della finanza internazionale, l'asservimento della patria, ridotta allo status di una ballerina del Crazy Horse o del Moulin Rouge, e i prodromi di una guerra totale. «Appiccherebbero il fuoco all'umanità per un colpo in Borsa, senza curarsi un istante di sapere come spegnerlo», aveva scritto ne I grandi cimiteri sotto la luna.

La serie (oltre che la qualità) degli scrittori che hanno detto la loro sul denaro e sulla finanza è impressionante: Balzac, Zola, de Vigny, Baudelaire, Rimbaud («In vendita i Corpi senza prezzo, le abitazioni e le migrazioni ! Slancio insensato e infinito»), Fitzgerald, Pound, D.H. Lawrence, Hamsun, Drieu la Rochelle, Pessoa, il John Updyke di Sei ricco, Coniglio!, oltre ai giochi d'azzardo di Dostoevskij, Schnitzler e Bukowski. Quanto a Bernanos, riecheggia il Péguy che diceva: «Il denaro è tutto, domina tutto nel mondo moderno». Comune è la denuncia della sovversione dei valori con l'avvento di una sola legge, quella economica: sistema di cui contestano il senso e la tenuta razionale.

Il dandy del

presepe, altero cavallerizzo a Barbacena, sprezzava il denaro; ed era colmo di profonda amarezza per la patria. Deve colpirci l'attualità di quest'esule di settantacinque anni fa, in piena guerra: la questione non è risolta.

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