Falstaff, la rivincita di Verdi 50 anni dopo il fiasco di «Stanislao»

«Un giorno di regno» scritto nel 1840 mentre gli morivano moglie e due figli, fu un clamoroso insuccesso e il Maestro decise di abbandonare il genere comico. Mezzo secolo più tardi, ormai ottantenne, si mise al lavoro su «Le allegri comari di Windsor». L'opera debuttò alla Scala nel 1893 e fu subito trionfo. «La sua opera migliore» sentenziò Arturo Toscani

Falstaff, la rivincita di Verdi 50 anni dopo il fiasco di «Stanislao»

Dopo oltre 50 anni, quando nessuno ormai avrebbe potuto immaginarlo, forse neppure lo stesso autore, ecco arrivare la rivincita di Giuseppe Verdi nei confronti dell'opera buffa. Nel 1840 cade infatti rovinosamente, il peggiore insuccesso della sua lunghissima carriera, «Un giorno di Regno, ovvero il finto Stanislao», mentre nel 1893 arriva l'accoglienza trionfale per il «Falstaff». Sempre alla Scala, che nell'anno del bicentenario mette in scena, dal 15 gennaio al 12 febbraio, dieci repliche dell'opera definita da Arturo Toscanini la «migliore di Verdi».
Per capire questa «vendetta» bisogna andare all'inizio dell'avventura del «Cigno di Busseto», sbarcato a Milano a soli 19 anni nel 1832 grazie all'aiuto economico di Antonio Barezzi e del Monte di Pietà del suo paese. Sono anni oscuri, di lavoro inteso ma anche di umiliazioni come quando viene rifiutata la sua domanda di ammissione al Conservatorio. Tornato a Bussetto, nel 1836 sposa Margherita Barezzi, 22 anni, figlia del suo benefattore, da cui ebbe due bambini. Dopo due anni, con l'intera famiglia, riapproda a Milano andando a vivere in una modesta abitazione di Porta Ticinese. Nel 1839 riesce finalmente a far rappresentare la sua prima opera alla Scala «Oberto conte di San Bonifacio», cupa storia di potere, amore e tradimenti, ambientata nella Bassano del XII secolo. Il libretto è di Antonio Piazza, rivisto e riadattato da Temistocle Solera con cui inizierà un sodalizio concluso poi nel 1846 con «Attila».
È un esordio felice che induce la Scala a commissionargli subito un altro lavoro, questa volta buffo, appunto «Un giorno di regno». Un avventura comica ambientata in Francia, nei dintorni di Brest, nel 1733, dove arriva Stanislao I re di Polonia, in realtà, il cavaliere di Belfiore. Il sovrano infatti gli ha chiesto di presentarsi a suo nome, per consentirgli in incognito di combattere i suoi nemici. Una trama che trarrebbe spunto da un vicenda vera: Stanislao I (1677-1766) fu re di Polonia dal 1704 al 1709 poi, perso il trono, fu costretto a rifugiarsi in Francia fino al 1733 quando potè rientrare trionfante in Varsavia. Nel frattempo sembra che in alcune circostanze si fosse fatto sostituire da una «controfigura» temendo un attentato alla sua vita.
Verdi si mette a lavorare di gran lena su un libretto «così e così» scritto da Felice Romani nel 1818, dunque po' fuori moda. Nel frattempo un'incredibile serie di sciagure si abbatte sul compositore a cui muoiono nel giro di pochi mesi sia la moglie sia i due figli. Verdi si trova nel peggiore stato d'animo possibile per poter scrivere un'opera buffa e in effetti quando «Stanislao» va in scena al Piermarini il 5 settembre è un fiasco clamoroso. Verdi, deluso, si ritira a Busseto deciso ad abbandonare l'attività di compositore, poi torna a Milano e la Scala gli chiede di musicare il Nabucco. L'artista è perplesso, torna a casa, getta il libretto sul tavolo, le pagine si aprono sul «Va pensiero sull'ali dorate» ... e arriva subito l'ispirazione.
Verità o leggenda, riprende la carriera, un crescendo continuo che lo porterà a essere considerato uno dei più grandi compositori dell'Ottocento. Anche se le opere che seguiranno saranno tutti meladrammoni con amori impossibili, morti, lutti, sciagure. Quasi che il musicista voglia scientificamente tenersi alla larga dall'opera buffa. Anche se, a onor del vero, «Un giorno di regno» torna in scena a Venezia nel 1845 ottenendo un certo successo, grazie anche ai pesanti interventi sul libretto.
Dopo quattro quarant'anni di successi, il Maestro si ritira nella sua tenuta di Sant'Agata dove viene però raggiunto dalle pressanti richieste di Arrigo Boito di tornare a comporre. Impresa ardua visto che proprio l'ex scapigliato in passato aveva duramente criticato i lavori di Verdi, considerandolo antiquato rispetto a Richard Wagner. E il compositore, noto per la sua permalosità, non l'aveva mai perdonato. Giulio Ricordi tenta l'improba riconciliazione, ma deve sudare le leggendarie sette camicie prima di far incontrare i due. Alla fine però ne esce «Otello», dal dramma scepiriano, uno dei capolavori assoluti e come tale subito acclamato fin dalla prima alla Scala il 5 febbraio 1887. Verdi ritiene ormai di aver esaurito la sua vena artistica, ma non fa i conti con la coppia Ricordi-Boito. I due tanto fanno, bussano, implorarono che ai primi anni '90 il musicista si mette al lavoro sul Falstaff, trama in gran parte ripresa dalle «Allegri comari di Windsor» con alcuni passi tratti dall'«Enrico IV», sempre dall'amato Shakespeare da cui in gioventù aveva tratto anche «Macbeth». Il 9 febbraio 1993, a 80 anni suonati, il «Re», come veniva ormai chiamato mentre Giacomo Puccini è il «Principe ereditario», torna per l'ultimo trionfo al Piermarini.

Sulla qualità artistica Arturo Toscanini, uno che di musica indubbiamente ne capiva qualcosa, non ebbe mai dubbi: il miglior lavoro di Verdi. Ma anche la rivincita a mezzo secolo dal fiasco mai dimenticato di «Stanislao».

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