Cultura e Spettacoli

"Per far ridere bisogna metterci la faccia Ma senza mascherarsi"

L'attore riflette sul momento del cinema leggero «È necessario essere riconoscibili dai più piccoli»

"Per far ridere bisogna metterci la faccia Ma senza mascherarsi"

Finché era Natale, tutti buoni e zitti. A rosicare in silenzio sotto l'albero. Ma adesso è Carnevale e, tra frappe e castagnole, i nostri comici di punta dicono che Tolo Tolo di Checco Zalone non faceva ridere. Anzi. Per tacere di Aldo, Giovanni e Giacomo, che hanno girato un mélo: tre uomini e un tumore. Pure Carlo Verdone ha messo il brutto male nel suo Si vive una volta sola, per farlo funzionare. «Film carini, che fanno ridere poco. Venite a vedere il mio film, invece, l'unico dove si ride», esorta Christian De Sica, lanciando La mia banda suona il pop di Fausto Brizzi. Però, persino Marco Giusti, prode funzionario Rai adoratore dei B-movies, stavolta storce il naso. Per lui, il film di De Sica è «una commedia scorreggiona dei tempi andati», dove «qualche risata te la fai, ma pretendiamo qualcosa in più». Amen. Che succede? Il fatto è che la torta comica è quella e più di tanto non la puoi dividere. Nonostante il box-office positivo, la gente sente d'aver speso soldi, senza un vero perché. Intanto, un re della risata, Massimo Boldi, riflette: «Perché si ride ancora con i film di Totò? Chi sa far ridere, fa ridere sempre». Ecco. Appunto. Parliamone.

Tutti a vedere Zalone e poi esce fuori che Tolo Tolo non faceva ridere. Perché la gente è andata in sala, allora?

«Intanto, gli incassi dei film sono diminuiti, negli anni. Se oggi fai 5 milioni, è grande successo. Prima, parlavamo di miliardi. Abbiamo incassato 15 miliardi, era una roba importante. Poi, con oltre 1000 sale... Zalone? È inspiegabile come faccia 50 milioni di euro. La gente ci va perché ha riso prima e pensa d'andare a vedere il film che funziona. Zalone è comico di battuta, non di situazioni».

Che cosa non torna nel film di Zalone?

«Ha voluto creare una situazione divertente, ma è drammatica. Magari perché Virzì ha sceneggiato il film. I film fatti da me e De Sica con De Laurentiis, per un quarto di secolo, erano caciaroni e divertenti: oggi sono cult. Facevamo grandi risultati. Christian, da solo... non lo so. Ogni volta che ho lavorato con altri comici, da Biagio Izzo a Er Cipolla, da Mattioli a Ceccherini, i miei film hanno sempre funzionato. Dopo 11 anni che non lavoravamo insieme, io e Christian abbiamo incassato 9 milioni di euro. Da solo, io ne faccio 4 e mezzo-6».

Carlo Verdone dice che i film vanno scritti meglio...

«La scrittura è importante. Ma anche l'interpretazione. Un tempo si diceva: Vado a vedere un film di Sordi, o di Tognazzi, o di Troisi. Insomma, per far ridere devi metterci la faccia. La tua. Non devi mascherarti. Io cerco sempre di dare un'immagine giovanile, anche se sono vecchiotto».

Nel film La mia banda suona il pop, Christian si maschera, invece: parrucca, basettoni...

«Per far ridere, non devi far vedere che sei vecchiotto. Non devi calcare. Ma cercare un'immagine fresca, riconoscibile dai più piccoli. Non credo che il papà di Christian si sia mai presentato mascherato: era lui e basta. Come Paolo Villaggio, che era Fantozzi».

Non sarà che i comici sono sempre gli stessi e che c'è una «cupola» che non fa emergere giovani talenti?

«Sì, un pochino la cupola c'è. I comici, una volta, venivano dall'avanspettacolo, o dalla rivista. La mia generazione, veniva dal cabaret, una rivista più intellettuale. Poi, si è vissuto sugli allori. Ma oggi ci sono tanti comici, che non fanno più ridere con le vecchie battute».

Avevate progetti di reunion, con Christian?

«Quest'anno dovevamo fare qualcosa insieme, ma i soggetti della Indiana Production non ci sono piaciuti. Non è facile trovare una storia nuova, con tutti i film fatti in 100 anni di cinema. Il pubblico, per me, vuol vedere sempre lo stesso film. Vacanze di Natale, o Paperoni».

Non si trovano più anche certi amori, come quello di Giuseppe Sgarbi, il papà di Vittorio, per sua moglie Rina. Ci parla del suo ruolo nel film di Pupi Avati?

«È la seconda volta che lavoro con Pupi in un film drammatico, dopo Festival del 1996. Il film s'intitola Lei mi parla ancora, dal romanzo omonimo di Giuseppe Sgarbi. Dove Nino, che sarei io, con la mia faccia, parla della moglie scomparsa. È un film drammatico, da girare tra Roma e Ferrara, ma a ogni battuta che dico, ridono tutti... Iniziamo a girare tra 20 giorni, produciamo io e Pupi, mentre Vittorio Sgarbi fa la consulenza. Nel ruolo di mia moglie c'è Stefania Sandrelli, da matura, e Isabella Ragonese, da giovane. È la prima volta che lavoro con la Sandrelli. Il problema sono le battute da ricordare. Leggendo la sceneggiatura, ti commuovi».

Perché Avati ha scelto proprio lei?

«Perché somiglio moltissimo al papà di Sgarbi, che m'ha mandato la registrazione della voce di suo padre. Pupi, invece, m'ha inviato una foto di Nino Sgarbi: sono identico. Entrambi pelati e con una faccia da Cipollino. Il film andrà a Venezia, fuori concorso».

Progetti per far ridere?

«Un cinepanettone pronto a novembre prossimo, che girerò all'estero. Sarà un film sul matrimonio. E si riderà. Perché qua si ride poco e bisogna tirar fuori le palle. Senza vergognarsi di far ridere.

Con la tua faccia».

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