Cultura e Spettacoli

Il film del weekend: "Jobs"

Una biografia cronologicamente incompleta, ma che ritrae in maniera piuttosto esauriente, onesta e non agiografica, una delle personalità protagoniste del nostro tempo

Il film del weekend: "Jobs"

È uno Steve Jobs spietato, intelligente e scaltro quello mostrato nel film indipendente diretto da Joshua Michael Stern e interpretato da Aschton Kutcher; il che deluderà molte persone perché non è mai piacevole da guardare la parte del rovescio di quello che è un ricamo di grande bellezza, già entrato nel mito. Jobs ha tessuto la sua vita con rara abilità e si può scegliere di rimanere in contemplazione dei risultati da lui raggiunti, oppure di voler comprendere quale sia stato il prezzo personale pagato per arrivare a tanto. Nel primo caso, basterà forse attendere il biopic ancora in lavorazione e prodotto dalla Sony con il prezioso permesso di attingere dalla sua biografia ufficiale scritta da Walter Isaacson; nel secondo, si dovrà apprezzare la trasparenza e l'onestà di questa pellicola intitolata semplicemente "Jobs", attualmente al cinema.

Il film si apre con il lancio dell'iPod nel 2001, per poi riavvolgere il nastro del tempo fino al 1973, anno in cui Jobs era un giovane studente non refrattario all'uso di allucinogeni e alle esperienze mistiche in India, ma già con uno spiccato senso per gli affari. Vengono ripercorsi gli albori della sua carriera: lo sviluppo di un videogioco per la Atari, la fondazione della Apple Computer con sede nel garage paterno, la crescita esponenziale di quest'ultima che la porta a essere la diretta concorrente di un colosso come l'IBM. Si assiste poi alla cacciata di Jobs dalla sua stessa creatura, nel 1985, e alla sua riconquista undici anni più tardi. Il film tralascia la diatriba con Bill Gates, la fondazione della Pixar, e tutto il periodo d'oro della nascita di prodotti come iPhone e iPad che portano l'azienda a essere decretata, nel settembre 2012, la più valutata al mondo.

Tutti questi avvenimenti, assieme alla malattia di Jobs e al termine della sua vita, sono stati ampiamente sviscerati dai media. Il regista sceglie invece di indagare su quali demoni interiori abbiano dato luogo a una simile cavalcata esistenziale. Mostra come Jobs fin dagli esordi fosse così focalizzato al raggiungimento dei suoi obiettivi al punto da commettere scorrettezze anche nei confronti di persone care. Non si tratta di arroganza o di ambizione, ma di una specie di sacro fuoco, di una vocazione e certezza interiore di avere da realizzare un destino speciale, un'innovazione capace di lasciare traccia nelle vite degli altri. La pellicola ritrae benissimo come l'abnegazione e l'adesione scriteriata alla sua visione del futuro porti Jobs a cambiare il mondo ma anche, sul piano personale, a profondi squilibri e alla perdita di etica, amicizie, normalità. Non a caso è proprio negli anni lontani da Apple che viene invece ritratto come finalmente integrato con gli aspetti ordinari dell'esistenza, con moglie e figli, in pace, a occuparsi di cose semplici.

Insomma, è una biografia parziale che non punta alla ricostruzione cronologica dei fatti, ma a far capire che per lasciare quel che ha lasciato, Jobs si è immolato rinunciando a molte delle cose della vita, sacrificando rilassatezza, dolcezza, innocenza.

Kutcher dà una solida performance come protagonista; imita bene la camminata e certi manierismi di Jobs ed ha anche un certo lampo di sfida negli occhi. Quanto al cast di supporto, fa del suo meglio nell'impersonare quelli che sono ruoli monodimensionali.

Una chicca: il garage paterno visto nel film è davvero quello in cui nella realtà tutto è cominciato.

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