Da Gallipoli alla Galizia Ecco le Caporetto degli altri

A «èStoria» si discute di come la nostra grande sconfitta alla fine sia tutt'altro che un caso unico nel conflitto

Da Gallipoli alla Galizia Ecco le Caporetto degli altri

nostro inviato a Gorizia

Come viene definita, per antonomasia, una sconfitta catastrofica? Una Caporetto. E l'espressione ha assunto forma proverbiale anche al di fuori del frasario italiano, si usa anche in inglese. La nostra sconfitta durante la Prima guerra mondiale è diventata emblematica del collasso di un esercito. Ma davvero questa battaglia (durata dal 24 ottobre al 12 novembre 1917) è così particolare e così devastante? Se ne parlerà sabato (ore 15, tenda Apih) a èStoria, il festival che ogni anno si svolge a Gorizia, nell'incontro Le Caporetto d'Europa in compagnia dello storico militare Marco Cimmino, che della Grande guerra è uno specialista. E la risposta è che no, Caporetto non è una battaglia così particolare. Di cedimenti e collassi del fronte hanno sofferto quasi tutti i contendenti. Giusto per fare l'esempio più evidente: la prima battaglia della Marna (5-12 settembre 1914) si spiega solo col fatto che sino a quel momento l'esercito francese era stato travolto dai tedeschi esattamente come gli italiani a Caporetto. Spiega al Giornale Cimmino: «I francesi fecero sulla Marna quello che gli italiani fecero sul Piave, arrestarono il rullo compressore tedesco. Ma sino a quel momento erano stati spinti all'indietro con gravissime perdite, salvarono Parigi per un soffio. A confronto la minaccia austriaca dopo Caporetto era relativa. Per di più, nonostante i prigionieri e le perdite va detto che l'Esercito italiano aveva anche dopo la sconfitta un quantitativo di riserve e di mezzi di tutto rispetto. Così come nella seconda battaglia della Marna del 1918 furono i tedeschi a spingersi in avanti in un attacco fallimentare che li dissanguò in modo insensato. Duecentomila morti inutili».

Gli inglesi una sconfitta paragonabile a Caporetto andarono a cercarsela fuori casa. Con la campagna della penisola di Gallipoli (25 aprile 1915 - 9 gennaio 1916). Si trattava di una operazione volta a facilitare alla Royal Navy e alla Marine nationale il forzamento dello stretto dei Dardanelli al fine di occupare Costantinopoli, costringere l'Impero ottomano a uscire dal conflitto e ristabilire le comunicazioni con l'Impero russo attraverso il Mar Nero. Partì male quando gli attacchi navali alle fortificazioni turche si rivelarono piuttosto inefficaci. Proseguì peggio con un gigantesco sbarco di truppe (soprattutto australiane e neozelandesi). Le truppe vennero inchiodate a ridosso della costa e fu un lunghissimo inutile massacro. Alla fine le truppe britanniche dovettero evacuare, dopo aver perso 250mila uomini e anche un certo numero di navi. «Fu una sconfitta cocentissima - spiega Cimmino - ancora adesso nella memoria di australiani e neozelandesi è profondamente radicata. In quel caso a lasciare il segno fu soprattutto la cattiva pianificazione dell'operazione. Fu un tentativo mal condotto e senza possibilità di riuscita. E non fu l'unico smacco inglese contro gli ottomani. Anche l'assedio di Kut (tra il dicembre 1915 e l'aprile 1916) in Iraq fu un vero disastro. Persero 30mila uomini e lasciarono in mano ottomana 13mila prigionieri».

Anche i nostri avversari diretti, gli austriaci subirono una serie di sconfitte, ben prima della battaglia di Vittorio Veneto, assolutamente paragonabili a Caporetto. Soprattutto in Galizia a opera dei russi. Dal 23 agosto all'11 settembre 1914 le truppe di Vienna vennero investite dal maglio dell'armata russa, all'epoca gigantesca e non ancora logorata dal conflitto o priva dei mezzi indispensabili al combattimento (dal 1909 al 1913 i russi impiegarono quasi un terzo del bilancio statale per l'ammodernamento dell'esercito). I russi attaccarono con la classica manovra a tenaglia. Fu abbastanza chiaro sin da subito che non sarebbe stato possibile arrestare l'avanzata e che prudenza avrebbe suggerito di cedere terreno. Il generale Conrad (1852-1925) invece optò per una ostinata resistenza, nella speranza di riuscire a ottenere truppe di rinforzo e ribaltare la situazione. Risultato? Trecentomila morti e centomila prigionieri in mano ai russi. E Conrad continuò a far danno. Sua anche l'idea della fallimentare Strafexpedition contro l'Italia. Tanto che i colleghi tedeschi ogni volta che parlavano di lui si mettevano le mani nei capelli. Così su di lui il generale Hans Von Seeckt: «Aveva intrapreso una serie di irrazionali offensive, che avevano portato alla distruzione dell'esercito regolare fin dall'inizio del conflitto, con la conseguenza che il confronto dovette essere sostentato dal potenziale umano della riserva - quindi male addestrato». Ma se Caporetto non è stata una sconfitta peggiore di altre, come mai in Italia e non solo si è trasformata in un'onta nazionale?

Così Cimmino: «Sin dall'epoca la pubblicistica e i giornali si scatenarono. Ed è un vizio un po' italiano quello di enfatizzare la nostra ora più nera per poi invocare lo stellone nazionale e la grande riscossa quasi miracolosa. So di banalizzare... ma, guardi, facciamo la stessa cosa con la Nazionale. Solo che poi a volte mal ce ne incoglie. È il caso di Caporetto, che è molto più ricordata delle molte vittorie italiane. E ci costò caro anche alla Conferenza di pace di Parigi del 1919. Alle istanze italiane venivano sempre contrapposte le nostre richieste di aiuto e il dramma Caporetto. Ovviamente era strumentale, ma ci costò caro. Mentre è un fatto che da Caporetto ci siamo ripresi da soli, non certo per gli aiuti inglesi, francesi e americani.

O meglio gli austriaci sfondando il fronte e arrivando al Piave si sono poi trovati ad avere delle linee di rifornimento insostenibili. Insomma guardandola bene per loro Caporetto non è nemmeno detto sia una vera vittoria».

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