Da Ghiaurov ad Abdrazakov i bassi più potenti in Attila

È uno dei pochi titoli verdiani in cui il ruolo del protagonista viene assegnato alla voce più grave

Da Ghiaurov ad Abdrazakov i bassi più potenti in Attila

Nel vasto catalogo delle opere verdiane il cosiddetto «ruolo del titolo» è assai di rado assegnato, come in Attila, alla voce di basso, la più grave fra le voci maschili. Nel teatro di Verdi non mancano figure indimenticabili di basso «cantante» (così distinto dal basso «profondo» che ha timbro più scuro e tessitura più grave): prima di Attila, incontriamo il vecchio omerico Silva, grande di Spagna, che in Ernani è persecutore implacabile dei due giovani innamorati; e soprattutto troneggiano nella maturità, l'imperatore Filippo II, dilaniato fra gelosia e dovere di stato nel Don Carlo e il Padre Guardiano nella Forza del Destino, la figura più vicina a Manzoni fra tutti i personaggi verdiani.

In Attila dunque il basso è il perno attorno al quale ruota tutta la vicenda: nemico a cui si oppone il generale romano Ezio; parricida che la «vergine italica» Odabella vuole punire; tiranno odiato dal vendicativo promesso sposo di Odabella, il cavaliere Foresto. Nonostante tanto odio lo circondi l'Attila di Verdi guadagna quasi subito la simpatia degli spettatori per l'autorità con cui tratta i suoi avversari, a partire dal rifiuto opposto al generale Ezio, il quale gli propone di approfittare della debolezza dell'imperatore Valentiniano per dividersi il mondo in un poderoso duetto nel primo atto. Solo Odabella si ergerà, con una scrittura vocale impervia, alla sua statura: Attila infatti se ne innamora, dopo essere stato da lei salvato da una prima congiura. Ancor più maestosa è la figura del sovrano barbaro nella conclusione dell'opera, quando comprende il nuovo tradimento della sposa, del nemico graziato e del generale di cui ha risparmiato la patria. Odabella, scansato Foresto, infligge l'agognato colpo mortale al marito parricida. Attila muore però trafitto da eroe, esclamando, come Cesare: E tu pure, Odabella?

Oltre a questi due momenti capitali, la figura del sovrano riceve luce particolare dalla più bella scena dell'opera (atto primo), quando si sveglia nella sua tenda e racconta al fido scudiero un incubo: un vecchio immane lo ha afferrato per i capelli (Mentre gonfiarsi l'anima) intimandogli di non invadere la terra sacra di Roma. Ripreso coraggio, Attila si lancia in una cabaletta furiosa (Oltre quel limite/ t'attendo, o spettro), salvo poi rimanere sopraffatto nella scena seguente quando quel vecchio si palesa veramente come papa Leone, e dinanzi ai numi prostrasi il re.

Il fatto quindi che quest'opera sia stata prediletta dai maggiori bassi degli ultimi settant'anni non è solo legato al titolo, ma è intrinseco ad una parte che esalta potenza e autorità della voce di basso. Il ritorno dell'opera sulle scene moderne è infatti sempre stato legato alla presenza di un gran solista, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, celebrandosi il cinquantesimo anniversario della morte di Verdi, nel 1951. Allora fu il basso piemontese Italo Tajo che riprese l'opera a Venezia e negli studi Rai di Milano, sotto la direzione di Carlo Maria Giulini. Un decennio dopo la parte non sfuggì a una delle voci più carismatiche che fecero fortuna in Italia, quella del bulgaro Boris Christoff, la cui voce scolpiva un monarca senza esitazioni, molto simile ai grandi ruoli dell'opera russa (lo zar Boris) di cui fu interprete colossale. Ancora un decennio e il ruolo di Attila passò al successore di Christoff e suo conterraneo, Nicolaj Ghiaurov (protagonista a Firenze sotto la direzione di Muti, alla Scala e alla Staatsoper di Vienna): voce meno autoritaria ma di una bellezza fonica e di una regalità indiscutibili. Anche i migliori bassi italiani si sono cimentati con successo con l'iconico ruolo: citiamo almeno, fra i più apprezzati, Ruggero Raimondi e Bonaldo Giaiotti. Dopo l'era dei bulgari e degli italiani, venne l'americano Samuel Ramey, cantante che portava tutti i suoi quarti di nobiltà rossiniana nel personaggio.

Il protagonista della serata inaugurale scaligera, Ildar Abdrazakov, viene dagli Urali ed è degno continuatore di questa linea di interpreti: ha imparato la parte con Muti, eseguendola all'Opera di Opera di Roma e al Metropolitan di New York, l'ha fatta conoscere in Russia (Mariinskij di San Pietroburgo) e in altri siti, ma soprattutto la canta con intensità sempre vigilata da una linea di elegante.

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