Cultura e Spettacoli

Gianrico Tedeschi, un secolo da gigante del palcoscenico

È morto a cento anni (compiuti in aprile) il decano del teatro italiano: da Strehler a "Carosello", uno stile unico

Gianrico Tedeschi, un secolo da gigante del palcoscenico

Era l'attore che almeno cinque generazioni hanno imparato a conoscere spesso alla loro prima prova da spettatori, che si trattasse di spettacoli leggeri o impegnati, di teatro o di televisione, perché aveva fatto di un eclettismo di cifra personalissima e squisita la sua bandiera mattatoriale. Si è spento l'altroieri sera a 100 anni compiuti - lo scorso 20 aprile - Gianrico Tedeschi, nella sua casa di Crabbia a Pettenasco, in provincia di Novara, a pochi giorni dal compleanno di un'altra stella milanese sua coetanea, Franca Valeri, che celebrerà il secolo di vita il 31 luglio. Non è solo un gigante del palcoscenico a dirci addio, ma una parte immensa del teatro del secondo Novecento: il pioniere di una recitazione che, seppure regolata dallo schema drammatico, risultava nuova, senza impostazione, senza retorica. Una recitazione che Tedeschi aveva definito con una sentenza suggestiva, ricordata dalla figlia Enrica nel volume biografico che gli ha dedicato lo scorso anno: «La battuta va detta così, dovete recitare così: semplice, buttato via, moderno!».

Semplice, buttato via, moderno (Viella editore) è anche il titolo del libro, a cui emoziona ancora di più guardare adesso che Tedeschi è scomparso per sempre dalle scene. C'è una foto modernissima, in questa biografia, che riassume proprio quel senso del teatro come spirito dei tempi, da trasmettere per il puro piacere di esserci dentro. Nella foto ci sono quattro attori, amici, complici: Gianrico Tedeschi, Franca Valeri, Walter Chiari e Giuseppe Patroni Griffi. Corrono, ridono, come avessero quindici anni, Chiari e Tedeschi portano in braccio una Valeri impellicciata, seduta come fosse in trono. È il 1966 e i quattro sono in tournée con Luv, la commedia dell'americano Murray Schisgal che sarebbe stata irrappresentabile in Italia anche solo qualche anno prima: nel testo ci sono amanti, crisi del matrimonio, incroci di coppie, ma soprattutto una inedita leggerezza nel vivere tutto questo. Nelle parole dello stesso Tedeschi: «Di lì a poco sarebbe scoppiato il '68 in Italia, ma in America già erano arrivati la rivoluzione sessuale, l'amore libero, la coppia aperta. Luv celebrava il mutamento dei costumi». Si affermava un mix irripetibile di convenzione e trasformazione, eleganza e trasgressione, sobrietà e spirito tagliente: la formula che portò Tedeschi non solo al successo, ma alla conquista dell'affetto del pubblico.

Studente dell'Università Cattolica di Milano, durante la Seconda guerra mondiale Tedeschi fu chiamato alle armi come ufficiale e partecipò alla campagna di Grecia. Fatto prigioniero dopo l'armistizio, venne internato nei campi di Beniaminovo, Sandbostel e Wietzendorf: fu lì che conobbe Giovannino Guareschi e fu a Sandbostel che recitò per la prima volta nella parte di Enrico IV di Pirandello. È nel campo che nascono, come diceva sempre, l'attore Tedeschi e la certezza che sarà con il teatro che potrà condividere quanto ha vissuto e sopportarne l'orrore, tanto che per anni gli ex compagni di prigionia si presentarono davanti al camerino per poterlo salutare ancora.

Nel 1947 debuttò ufficialmente: era ancora studente all'Accademia d'arte drammatica di Roma, ma Giorgio Strehler lo volle per Sotto i ponti di New York, nella compagnia di Evi Maltagliati e Salvo Randone. Dopo nemmeno due anni, entrò nella compagnia di Gino Cervi e Andreina Pagnani e debuttò in quello che si chiamava «teatro di giro» e che prevedeva tournée lunghe anche sei mesi. Da allora passò, con la stessa disinvoltura, dalla commedia musicale - con Enrico '61 e nel 1964 con My Fair Lady di Garinei e Giovannini - a Shakespeare, che fece per la prima volta nel 1950 nel ruolo di Feste ne La dodicesima notte per la regia di Orazio Costa. Fu uno dei protagonisti della prosa televisiva I giocatori, Tredici a tavola, La professione della signora Warren e del varietà: nel 1961 affiancò Bice Valori e Lina Volonghi in Eva ed io di Antonello Falqui e nel 1977 partecipò a Bambole, non c'è una lira. Fu un volto popolare anche nei primi sceneggiati Rai: Marmeládov in Delitto e castigo (1963), Sorin ne Il gabbiano (1969), Paolino in Demetrio Pianelli (1963). Non poteva mancare il suo spirito tra i corti di Carosello, in cui compare, dal 1974, come testimonial delle caramelle Sperlari nella famosa scenetta che chiosava con «Un cofanetto Sperlari non si incarta mai!».

Tra le ultime sue indimenticabili interpretazioni, un ruolo contemporaneo con cui cannibalizzò i più giovani colleghi in scena, al punto da vincere il Premo Ubu: nel 2011 fu l'industriale Oldfield ne La compagnia degli uomini di Edward Bond, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Luca Ronconi.

Di nuovo un'occasione, per Tedeschi, di ribadire la sua visione umanissima e antiideologica del teatro, anche di fronte a un dramma storico-sociale come quello di Bond: «Il teatro non è un saggio di economia, traduce il conflitto sociale in conflitto personale, in cui sono le emozioni a parlare».

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