Cultura e Spettacoli

La guerra della Brigata Maiella. Veri patrioti, non partigiani

Un saggio racconta le imprese della formazione abruzzese che volle combattere a fianco degli Alleati

La guerra della Brigata Maiella. Veri patrioti, non partigiani

Se cercate la Brigata Maiella sui libri che trattano della Guerra di liberazione o della Campagna d'Italia, solo con un po' di fortuna troverete un accenno o una noticina. Strano davvero, se consideriamo che si tratta dell'unica formazione irregolare decorata di medaglia d'oro al valor militare, la prima e unica a essere armata dagli Alleati, quella col più lungo ciclo operativo. Aveva il tesserino militare italiano ma l'inquadramento operativo nell'esercito inglese, senza legami col Comitato di liberazione nazionale e senza commissario politico, né faceva parte del Corpo volontari della libertà. In sintesi, i membri della Brigata Maiella si sentivano patrioti, non partigiani, anzi ci tenevano a differenziarsene, come dimostrano i documenti e le testimonianze dirette dei protagonisti.

Proprio in questa differenza, non solo linguistica, sta la fortuna e la sfortuna del «Corpo volontari della Maiella», poi diventata «Banda patrioti della Maiella» e infine «Gruppo patrioti della Maiella». Adesso Marco Patricelli racconta la vicenda nel libro Brigata Maiella L'epopea dei patrioti italiani nell'Ottava Armata britannica (Rusconi, pagg. 464, Euro 19), che smitizza leggende e agiografia resistenziale, ripercorrendo i quindici mesi in cui i coraggiosi abruzzesi contribuirono a riconquistare - per loro e per gli altri italiani - la libertà. Il saggio, di lettura godibile, presenta molte interessanti novità scientifiche e di interpretazione storica, oltre a demolire creazioni artificiali vecchie e nuove (come Bella Ciao di recente spacciato addirittura come canto della Maiella). A molti non piacerà proprio per questo.

In Abruzzo l'occupazione dei tedeschi era dura, si erano asserragliati fidando sulle caratteristiche del territorio, applicavano gli eccidi di massa e la tattica della terra bruciata importata dall'esperienza in Russia. Il 5 dicembre 1943 quindici volontari, guidati dall'avvocato socialista Ettore Troilo, firmarono con un lapis, su un pezzo di carta, l'impegno d'onore di aiutare gli inglesi del Quinto Corpo d'armata a liberare i paesi che avevano la sventura di sorgere lungo la Linea difensiva tedesca Gustav. L'esercito alleato, comandato dal generale Montgomery, disarmava sistematicamente i partigiani, ma un ufficiale ebreo londinese, Lionel Wigram, colse in quei giovani montanari la volontà di riscossa e i maiellini vennero forniti di fucili, mitra e stivali. Dai paesi vicino a Casoli, nel Chietino, arrivavano intanto altri giovani che chiedevano armi per combattere e altre piccole bande di resistenti.

Il maggiore Wigram cadde alla testa della Wigforce italo-inglese nella sfortunata battaglia di Pizzoferrato, a febbraio 1944. Dopo quella sconfitta - tre feriti italiani vennero finiti dai tedeschi che non li ritenevano legittimi combattenti - la Maiella conoscerà solo vittorie. Adesso i volontari erano centinaia, suddivisi in plotoni, e si era già messo in mostra come eccellente comandante tattico un ex tenente della Regia Aeronautica, Domenico Troilo (nessuna parentela con Ettore), dimostrando che gli italiani sapevano battersi bene.

La Brigata era la prima formazione irregolare inquadrata nel Regio Esercito, la 209ª divisione di fanteria (in seguito nella 228ª), ma i maiellini si erano rifiutati di giurare fedeltà al Re e quindi avevano sostituito le stellette al bavero con il tricolore. Liberato l'Abruzzo, a giugno 1944, accadde quello che nessuno aveva previsto: invece di sciogliersi, la formazione decise di continuare a combattere. Mentre altrove si rifuggiva la chiamata alle armi, a Sulmona il centro di arruolamento doveva respingere le richieste perché non c'era più posto per incorporare i volontari.

I maiellini adesso erano un'unità di fanteria da montagna del Secondo Corpo d'armata polacco del generale Anders, di cui compensarono le perdite della battaglia vittoriosa di Montecassino. Diventeranno quasi 1.500, inquadrati in compagnie con uniforme britannica e gradi regolari, con armamento pesante e persino unità di commandos.

Temuta dai tedeschi e lodata per il valore in battaglia dai bollettini britannici, sempre in prima linea fino al termine della guerra, la Maiella entrò per prima a Bologna il 21 aprile 1945 e arrivò fino a Asiago il primo maggio. In totale ebbe 55 caduti e 151 feriti (36 mutilati), ottenendo una medaglia d'oro al valor militare (oltre quella alla bandiera), 15 medaglie d'argento, un encomio solenne sul campo, 45 medaglie di bronzo, 145 croci di guerra, senza considerare le decorazioni tributate dai polacchi.

Perché, allora, questa storia ricca di gloria e di umanità non si trova sui libri? Lo spiega Patricelli sottolineando che nel dopoguerra i maiellini - repubblicani ma apartitici - erano fuori dalla retorica resistenziale: i patrioti costituivano un'evidente anomalia nella narrazione politica e avrebbero incrinato il consolidamento del mito partigiano.

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