L'archetipo di tutte le invasioni aliene. Ecco cos'è La guerra dei mondi di H.G. Wells che dal 1898 detta le regole per gettare nel panico il lettore immaginando che arrivino sulla Terra invasori da un altro mondo. Certo, all'epoca di Welles si poteva ancora immaginare che il nemico potesse arrivare dal Pianeta Rosso. Oggi al massimo nella sabbia e nei ghiacci di Marte possiamo cercare dei batteri. Però la fascinazione di un libro nato in pieno darwinismo sociale e che ci vedeva contrapposti a una terribile «razza padrona» resta notevole. Tanto che spesso il cinema è andato a pescare lì. Per stare sulle cose recenti, basta pensare alla citazione diretta in La guerra dei mondi (2005) di Steven Spielberg, o a quella più velata di film come il più muscolare World Invasion (2011) o il più psicologico La quinta onda (2016).
Ovviamente il canovaccio di H.G. Wells è stato usato a piene mani anche da serie televisive come Falling Skies, ma ora sono arrivate due serie in cui Wells è il riferimento diretto. Su LaF (Sky canale 135) è arrivata quella prodotta dalla BBC, pensata per essere molto retrò e relativamente fedele al romanzo (oggi l'ultima puntata alle 21 e 10 ma la serie resterà disponibile su Sky on demand). Ambientazione ai primissimi del '900, tripodi alieni sputa raggi, solo qualche aggiornamento con maggior spazio per i personaggi femminili e per il tema dei danni al pianeta provocato dallo scontro con gli extraterrestri. Prodotto gustoso, ma con poco mordente narrativo; non genera inquietudine. Il libro di Wells per la sua epoca era sconvolgente e ben lo intuì Orson Welles che usò la radio, nel 1938, per rinverdire il potenziale disturbante dell'opera, terrorizzando molti spettatori oltre il limite del lecito. Non sarà ai livelli di Welles (il quale riempì le chiese di gente terrorizzata che invocava l'Altissimo), ma certo è più ambizioso il progetto della serie che andrà in onda su Fox dal 4 novembre. Gli 8 episodi coprodotti con Canal + mantengono soprattutto lo spirito del testo di Wells. Howard Overman, creatore, sceneggiatore e produttore di The War of the Worlds, ha detto di essersi concentrato sul cuore della storia, ovvero il conflitto etnico e il tema della superiorità tecnologica schiacciante. Ci è riuscito. Non spiegheremo qui come si sviluppa l'attacco alieno. Sarebbe un torto al lettore che volesse vedere la serie. Limitiamoci a dire che il piano degli abitanti di un esopianeta (che effettivamente esiste) posizionato vicino alla stella Ross 128, a 11 anni luce dal nostro sole, è preciso e spietatissimo.
Gli umani, tutti intenti a lanciare nello spazio radiomessaggi amichevoli (corredati dal nostro indirizzo planetario) impiegano troppo a capirlo. Il segnale potentissimo arrivato verso la Terra e durato quanto una rotazione terrestre avrebbe dovuto metterli subito sull'avviso e invece... Invece perdono il loro tempo. Qualcuno a cercare di capire se gli alieni sono amichevoli, altri a risolvere i guai con mogli, figlie, fidanzate...
La cifra narrativa della serie è una costante angoscia, quella che prova chi si trova a passare da predatore alfa a predato. A partire dal primo attacco si seguono più vicende contemporaneamente e ci si chiede chi ce la farà e chi no. Soprattutto la serie non abusa di effettoni speciali, di raggi e astronavi. La tecnologia aliena è sottilmente mortale e poco visibile. Il risultato di questo realismo (oltre ovviamente a contenere il budget) è che gli autori e gli attori sono stati costretti a fare il loro senza sperare che ci pensasse santa post-produzione a creare la tensione e il colpo di scena. Guardando le distese di cadaveri, tutti umani uccisi in un attimo come noi faremmo con le formiche, viene da dire: è così che farebbe una forza super tecnologica piombata su di noi dallo spazio, altro che ufo.
Ovviamente per rendere efficace una formula così, che sta tutta nella tensione trasmessa da espressioni e dialoghi, serviva un cast forte. Non a caso tra i protagonisti c'è Gabriel Byrne, premiato con un Golden Globe per la serie In Treatment e adattissimo a una narrazione del genere. Seguendo la quale non si possono non ricordare due cose. La prima è che Stephen Hawking considerava poco prudente inviare messaggi nel cosmo senza sapere a chi. La seconda è che il Pentagono ha fatto più volte la simulazione di un attacco alieno. La risposta data dalle simulazioni militari è che noi umani perdiamo sempre, rispetto agli invasori capaci di viaggiare nel cosmo.
Ma bastava chiedere a Wells, e al suo romanzo, per avere la stessa riposta che danno i computer militari. È evidente che il lieto fine della narrazione, con gli alieni uccisi da un batterio misterioso, è appiccicaticcio, serve solo per rasserenare il lettore.
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