Nel silenzio delle parole è il romanzo con cui Simona Sparaco ha vinto centocinquantamila euro, vale a dire il Premio DeA Planeta. Una storia «di madri e figli, di relazioni, di conflitti», ambientata a Berlino e ispirata all'incendio che il 14 giugno del 2017 ha devastato la Grenfell Tower, a Londra. Una storia ad alto tasso di commozione: «È strappalacrime? La cronaca era strappalacrime, incredibile di suo: io ho cercato di trasformare tutto quel dolore in una possibilità di rinascita» dice Simona Sparaco. Ora che il romanzo è in libreria (pagg. 282, euro 18) si può chiedere all'autrice, quarant'anni, due figli (uno nato quest'inverno, infatti lei ha scritto il libro mentre era incinta, «per metà negli ultimi tre mesi»), compagna di Massimo Gramellini e già finalista di premi come lo Strega e il Bancarella: che cosa si aspetta, dopo essersi già messa in tasca una cifra del genere? «Ho imparato a non aspettarmi niente, è già così tanto quello che è successo. Vivo come se il massimo fosse già arrivato».
È una bella responsabilità.
«Certo, da una parte c'è un senso di responsabilità per il lavoro enorme che c'è dietro; ma, dall'altra, sento che di più, per il libro, non avrei potuto fare. L'ho già fatto e sono pienamente soddisfatta. Ora girerò come una pazza per promuoverlo, anche se ho un bimbo di due mesi».
L'editore ha investito...
«Tantissimo. Ha investito nel vincitore, secondo me: tutto questo lo aveva in mente per qualunque persona avesse vinto. Diciamo che se avessi ricevuto un anticipo del genere, senza il premio, mi sarei sentita quasi a disagio».
Che effetto fa vincere un premio così?
«In passato sono stata vicino allo Strega, ho perso il premio Bancarella per un voto; poi ho ricevuto altri premi, di minore importanza e di cui sono molto orgogliosa, ma questo è sicuramente quello mi ha emozionato di più».
E se poi, per esempio, il romanzo vendesse poco?
«Eh, mi sono posta il problema. Primo: cerco di non pensarci. Secondo: sento di avere scritto una cosa di cui sono molto convinta. E poi in casa editrice si sono innamorati del libro, probabilmente lo avrebbero voluto comunque, così mi hanno detto. Ecco, tutto questo mi fa stare tranquilla per la prestazione personale, poi si sa che ci sono molte variabili e che i lettori sono una specie in estinzione. Un po' di pressione la sento, eccome».
Chi vince un premio suscita invidia, chi vince un premio da 150mila euro?
«Il giorno dell'annuncio ho perso il cellulare... Ci si concentra sulla vincita in denaro perché nel mondo dell'editoria sono cifre che non girano. Quindi forse, in quel senso, un po' di invidia c'è: è un bel colpo. Però non è solo fortuna, non è come quello che apre il pacco in tv, c'è tanto lavoro dietro. Mi fosse capitato a 18 anni, da esordiente, non so se sarei riuscita a gestire tutto: sono felice che mi sia successo dopo 22 anni che scrivo, otto romanzi e tanti inediti».
Però magari un commento di qualche collega...
«Al Salone uno scrittore noto mi ha detto: Posso salutarti alla romana? Mortacci tua...».
Beh, questo non è un commento cattivo.
«Se ci sarà invidia, sarà per la cifra. Però questi premi fanno bene a tutti: agli scrittori, che possono partecipare, e ai lettori, che trovano romanzi che hanno superato molte prove, da inediti. È un premio in cui tutti combattono ad armi pari, tanto che gli scrittori già noti possono usare uno pseudonimo, come ho fatto io; così, alla fine, è il libro che vince, non lo scrittore o la casa editrice, è proprio il libro».
Nessuno ha insinuato che abbia vinto perché il suo è un nome noto?
«Io ho scelto di partecipare con uno pseudonimo, una possibilità prevista dal regolamento: per me era l'occasione di mandare un inedito con un nome da uomo. Ho scelto quello dei miei figli, Diego e Tommaso: Diego Tommasini. Poi qualcuno, sui social, mi ha scritto: Che motivo avevi di partecipare, che ti cambia?, oppure: Sei contenta di avere tolto una occasione a un esordiente?».
È così?
«Mah, ho vinto io... Il premio era aperto a tutti. Ci saranno mille e duecento persone che ci sono rimaste male, che speravano di vincere, però non era il Calvino: forse molti fraintendono il fatto che inedito non significhi esordiente.
In Spagna, per esempio, partecipano grandi nomi, e gli esordienti possono sfidare scrittori famosi. Quando ho deciso di partecipare ero senza contratto: dovevo firmare con Einaudi per un altro romanzo, ma avevo aspettato. Un bel colpo di fortuna...».
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