Cultura e Spettacoli

Da Hubbard a Jobs I documentari che fanno scandalo

Il regista Alex Gibney racconta come nascono le sue indagini-ritratto che ribaltano i luoghi comuni e rivelano i segreti di Scientology o del doping

Da Hubbard a Jobs I documentari che fanno scandalo

da Los Angeles

Tom Cruise si mette sull'attenti e con rigidezza marziale fa il saluto militare - un trionfo di deferenza - al «capo dei capi» David Miscavige. Sembra la scena di un film - magari Codice d'onore - invece è la realtà di un recente raduno, in una gigantesca arena con migliaia di epigoni in tripudio, della sedicente “Chiesa” di Scientology. Una rara immagine dalle viscere del controverso culto offertaci dal documentarista Alex Gibney nel suo Going Clear (sottotitolo: Scientology e la prigione della fede ), che dopo l'applauditissimo debutto a fine gennaio al festival di Sundance viene trasmesso negli Usa da HBO.

«Ho subito minacce, pressioni e insulti ancora prima di iniziare le riprese e condurre le interviste con esperti ed ex scientologisti», dice Gibney, che ha già vinto premi Oscar ( Taxi to the Dark Side ) e vari Emmy con le sue inchieste. Going Clear ricostruisce la nascita di questa bizzarra religione fondata nel 1954 dallo scrittore di fantascienza L. Ron Hubbard. L'apprendistato costa migliaia di dollari. I membri di Scientology non solo devono devolvere gran parte dei loro guadagni alla “chiesa” e lavorare per 40 centesimi l'ora, ma sono vittime di micidiali lavaggi del cervello. Chi lascia la chiesa viene perseguitato. Come spiega Gibney: «John Travolta ha criticato il mio film pur dichiarando di non intendere vederlo, perché sarebbe un crimine anche solo accostarsi a una prospettiva negativa del culto». Travolta ha la sua megavilla con parcheggio del suo Boeing 737 nel mezzo della Florida, perché vicina al quartier generale di Scientology a Clearwater. Sia Travolta che Cruise, oramai grandi sacerdoti, hanno professato cieca obbedienza a Miscavige, l'erede di Hubbard, un personaggio di dubbia reputazione. Il regista Paul Haggis ( Crash ) e' tra gli intervistati di Gibney, un ex membro della Chiesa, tra i pochi riuscito a ravvedersi: ci ha messo anni prima di capire l'assurdità di tutto l'ambaradan e svincolarsi dalla “prigionia”.

Going Clear investiga lo status esentasse della Chiesa, tax-free da sempre in quanto presunta organizzazione di beneficienza: mentre è invece un vero e proprio business, un impero immobiliare multimiliardario. «Non dico che mi auguro che il governo federale incastri i quadri di Scientology - nazisti di una fittizia spiritualità - sulla base di un reato materiale e quasi banale come l'evasione fiscale, come fecero con Al Capone, ma quasi!» dice sorridendo Gibney. Il quale ha dovuto crearsi - con l'aiuto di HBO - un sistema di difesa legale per rintuzzare i veementi attacchi di Scientology.

«Comunque non era mia intenzione smascherare Tom Cruise, a detta di tutti una persona per bene», aggiunge Gibney, «anzi mi sarebbe piaciuto tramite lui offrire l'altro lato di Scientology, quello positivo, ce ne fosse uno. E invece nel corso della ricerca e della produzione è venuto fuori un Cruise indottrinato, dogmatico, fanatico e pure cattivo."

Gibney del resto è abituato alle controversie: in questi stessi giorni, sempre sulla HBO, viene trasmesso un altro suo documentario, su Frank Sinatra (per i 100 dalla sua nascita): Sinatra: All or Nothing at All . «Qui è accaduto il contrario» spiega l'instancabile Gibney. «Ho affrontato la figura di Sinatra con molto scetticismo, avendo sempre sentito storie del suo lato oscuro, dell'uomo imperioso, esigente, a cui piaceva intimidire gli altri e addirittura trasmettere un'aura di pericolo. Ma nel corso di questo mio lavoro ho scoperto anche un altro Sinatra, altre dimensioni: un assiduo difensore dei diritti degli artisti neri, un uomo fedele e generoso nei confronti di amici come Sammy Davis Jr. e uno che coraggiosamente sosteneva cause allora impopolari».

Al contrario, continua Gibney, è accaduto col terzo suo documentario, appena presentato al festival di Austin, in Texas, South by SouthWest: Steve Jobs: the Man in the Machine . Spiega Gibney: «In questo caso mi sono avvicinato a Jobs con gli occhi sgranati di l'ammirazione, specie dopo aver letto la biografia su di lui di Walter Isaacson. Ma girando il documentario è emerso il ritratto di un uomo geniale, certo, e dotato di sfrenata ambizione e senso del marketing, ma anche di una persona malata di narcisismo, aggressivo ed oltremodo esigente coi dipendenti, un manipolatore monomaniacale». E Gibney non si è ancora fermato: ha da poco finito di montare The Armstrong Lie , la bugia di Armstrong, cioè Lance, il ciclista spogliato dei suoi sette Tour de France. «Pensi che ho girato una prima versione molto più positiva, su Lance. Ma dopo la sentenza definitiva sul doping e la conferma del suo monumentale cover-up, ho buttato il materiale girato dalla finestra e ho rifatto tutto, realizzando una parabola su un impostore, l'analisi di una frode sapientemente orchestrata».

«Vede», conclude Gibney, «se uno compie una ricerca con spirito neutrale e oggettivo, non smetti mai di sorprenderti sulla natura dei fatti.

La realtà è tutta da scoprire».

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