L'Orchestra del Festival di Lucerna nasceva 80 anni fa come un lusso di manifattura italiana. Era Arturo Toscanini a chiedere, e ottenere, un complesso d'élite radunando i migliori orchestrali in circolazione: una luce nel buio nazista. Dal 2016, il timoniere dell'Orchestra è Riccardo Chailly che inaugura il Festival il 17 agosto, dirigendo altri tre appuntamenti. Entro il 16 settembre, chiusura del Festival, sono attese alcune delle migliori orchestre in campo (europeo). I Wiener e i Berliner, la Filarmonica di Monaco e di San Pietroburgo, la Sinfonica e la Filarmonica di Londra, quindi l'orchestra del Concertgebouw, pur orfana di direttore (Daniele Gatti).
L'Orchestra del festival di Lucerna è costituita dai numeri uno. Cosa comporta questo per un direttore, aggiungo: nel bene e nel male?
«Male non può esserci. C'è solo bene. Bene in questa combinazione dei migliori musicisti europei con la possibilità, da parte mia, di inserire sull'organico di base piccole variazioni».
Ora anche l'Italia è tornata ad essere presente.
«Da tre anni sto aggiungendo alcune prime parti della Scala, c'è un criterio di flessibilità per cui i professori si alternano ogni anno».
Quanto è peculiare il modo di far musica a Lucerna?
«L'orchestra si riunisce ad agosto e scompare dopo ottobre. Offre così la possibilità di creare e rinnovare amicizie. Tutto converge sull'eccellenza dell'esecuzione. C'è un profondo senso di disciplina, si respira un clima speciale».
In che senso speciale?
«L'interesse collettivo è totale. Ogni musicista porta il meglio del suo viaggio interpretativo».
Una squadra che viene fatta e smontata regolarmente riesce comunque a preservare una propria anima?
«Già a metà della prima prova si ritrova il suono comune dell'anno precedente. Basta poco per riaccendersi e rinnovare l'identità».
...legata a quali autori anzitutto?
«A Mahler e Bruckner. Anche se inserirò sempre di più Wagner e Rachmaninov, due compositori che hanno abitato a Lucerna per anni e amato molto questi luoghi».
La sua prima volta a Lucerna?
«Trent'anni fa. E da allora la collaborazione non s'è mai interrotta. Ero venuto alla testa dell'Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam».
L'Orchestra che ha appena sfiduciato il collega Daniele Gatti. Un suo commento su quei podi che in tutto il mondo stanno saltando per accuse di molestie?
«Sono storie che rattristano molto».
Quello del direttore d'orchestra è un ruolo di potere, di leadership.
«La parola potere non mi piace, lasciamo questo termine alla politica. Preferisco parlare di responsabilità. Essere direttori d'orchestra implica avere grandissimo senso di responsabilità, e posso assicurare che pesa nella quotidianità. Vengono costruiti, montati e portati in giro progetti che richiedono mesi di lavoro e di riunioni. Una responsabilità enorme».
...anche nei confronti di chi sostiene tali progetti. In primis, gli sponsor.
«Più l'attività è internazionale e più è determinante la presenza degli sponsor che a loro volta vedono nel direttore musicale una garanzia. E mai come oggi è vitale la presenza di sostenitori anche finanziari».
Il 14 ottobre, l'orchestra di Lucerna debutta in Italia, ospite della Scala.
«Così inauguriamo la tournée che ci porterà in Cina. Un appuntamento che segna l'inizio di una collaborazione fra enti, perché la Filarmonica della Scala poi andrà a Lucerna. E' importante questo confronto tra diverse tradizioni».
Andate in Cina laddove prosperano i nuovi mercati della musica.
«La Cina è una della nazioni imprescindibili per l'attività internazionale di ogni orchestra. Basti pensare alle sedi di cui dispone, una più bella dell'altra. Torno a Shanghai per la terza volta, e ogni volta mi sono confrontato con sale nuove». Una boccata d'ossigeno anche per le case discografiche.
«L'Oriente si è sempre distinto in tal senso. Il Giappone è una delle nazioni più interessate alla discografia. E la Cina si sta avvicinando molto. Mi ha sempre stupito il livello di conoscenza del mio passato discografico da parte di questo pubblico».
Come sta lavorando con il sovrintendente (del Festival di Lucerna) Michael Haefliger?
«Ci conosciamo da 20 anni e siamo
molto affini in tema di scelte di repertorio. Ci siamo sempre divertiti ricercando programmi non convenzionali fino a includere prime assolute di autori contemporanei o meno scontati come Varèse. È una bella costellazione».
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