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I quattro reduci di Lee accusa agli Usa razzisti

Si parte con immagini di Cassius Clay: "La mia coscienza mi vieta di sparare a un fratello, o a gente povera, dalla pelle più scura, affamata, per la grande e potente America"

I quattro reduci di Lee accusa agli Usa razzisti

Si parte con immagini di Cassius Clay: «La mia coscienza mi vieta di sparare a un fratello, o a gente povera, dalla pelle più scura, affamata, per la grande e potente America»; di Malcolm X: «Se mandate 20 milioni di neri a combattere la vostra guerra e a raccogliere il vostro cotone, senza una vera ricompensa, prima o poi la loro lealtà verrà meno»; di Bobby Seale: «Ora con la dannata guerra del Vietnam otteniamo solo la brutalità razzista della polizia», tenendo conto che «i neri sono solo l'11% della popolazione statunitense, eppure rappresentano il 32% delle forze mandate qui in Vietnam». Bisogna partire da qui per inquadrare, al meglio, il film di Spike Lee, prodotto e trasmesso da Netflix, che, visto quello che è capitato al povero Floyd, sembra quanto mai attuale. Una pellicola dove non potevano mancare le bordate di Lee al suo antagonista preferito, mr. President, Donald Trump, come da dialogo in un bar tra un francese e un americano di colore: «Voi Usa siete troppo presi a fare presidente il pagliaccio di un reality», con risposta «Beh, io e tutti i neri degli Stati Uniti, gli unici a non aver votato quel coglione, respingiamo tutte le accuse, dichiarazioni, denunce, insinuazioni e associazioni legate al re del KKK dello Studio Ovale». Certo, esiste anche una trama, ovvero la storia di quattro reduci afroamericani, Paul (Delroy Lindo) che è sostenitore di Trump, Otis (Clarke Peters), Eddie (Norm Lewis) e Melvin (Isiah Whitlock, Jr.), che tornano in Vietnam, apparentemente alla ricerca dei resti del loro caposquadra (Chadwick Boseman), morto durante quel conflitto. In realtà, a far gola al poker è una cassa d'oro nascosta durante la guerra, da ritrovare nella giungla, che, però, interessa a tanti, a partire da un Jean Reno nel ruolo di un maneggione internazionale. Tra flashback passati e vicende presenti, uno dei temi forti del film è dimostrare come le ferite psicologiche di questo conflitto siano ancora particolarmente aperte nei reduci della comunità nera.

Non a caso, Lee, nelle scene del conflitto, presenta i protagonisti mantenendo la loro età attuale, senza ringiovanirli, a dimostrazione di come quei fatti siano ancora memorie vive e non solo vaghi ricordi del passato.

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