I ricordi di Rondi, Doge nero del cinema

Il decano dei critici apre i suoi archivi, pieni di lettere e biglietti (spesso furiosi) di registi e attori stroncati

I ricordi di Rondi, Doge nero del cinema

Li ha seppelliti tutti, Gianluigi Rondi, il decano della critica cinematografica. Sarà per questo che i fratelli Taviani, suoi amici, scherzando evocano odore di zolfo: sciarpa di seta bianca al collo, girocollo scuro di Battistoni, frack nelle serate di gala, il critico-manager che ha diretto il Festival di Venezia e sovrainteso a quello di Roma, è un principe senza età. Anche per l'allure di Gran Cerimoniere che ha conosciuto tutti da vicino, però mantenendosi distante, da quell'aristocratico con doppio cognome che è (all'anagrafe fa Nasalli-Rondi).

Amici e nemici, registi livorosi e attori mediocri oppure bravi, ai quali l'«Andreotti del grande schermo» oggi novantaquattrenne ha dedicato, in mezzo secolo di carriera sotto le insegne del Tempo , i suoi articoli puntuali, spiazzanti - sul Celentano di Yuppi Du scrisse: «È nato un nuovo Charlie Chaplin» -, mai inosservati, sono scomparsi. Lui, invece, macina Dvd seduto nel salotto di casa. «Andare in sala è perdita di tempo. Ho fretta di scrivere e uno spettacolo, oggi, dura tre ore», spiega con voce di miele e oblio. Così è giusto che si aprano i suoi archivi e ne escano, a centinaia, le lettere scambiate con i più bei nomi del cinema italiano. Tutto il cinema in 100 (e più) lettere (edizioni Sabinae, pagg. 240, euro 28), firmato da Rondi e curato da Simone Casavecchia, Domenico Monetti e Luca Pallanch, in apparenza traccia un panorama del nostro star-system, a partire dal 1947: di ogni attrice, attore o regista si rileva il percorso biografico e si dà conto dello spirito del tempo; si descrivono persino alcuni film, i giudizi che li hanno offesi, i produttori che li hanno sostenuti. Eppure, quasi subito ci accorgiamo che Rondi sta ricostruendo, un biglietto intestato (la Loren scrive da Villa Ponti-San Marino), o una cartolina dopo l'altra, l'inquietante famiglia del cinema italiano. Un luogo ora dorato, con Alberto Lattuada che spedisce cartoline da Portorico: «Nei Caraibi si sta bene e si dimentica tutti, ma non i vecchi amici»; ora misero, se Isa Miranda, «lei sì che era stata una divina», invia lettere dall'abbandono in cui versa, appena il marito, il produttore Alfredo Guarini, negli Ottanta muore. Importava che una delle attrici europee più significative, nei Trenta la risposta italiana a Marlene Dietrich, fosse ricoverata al C.T.O. della Garbatella, sola e senza un soldo? Soltanto Rondi le sarà vicino, con parole di conforto.

A dispetto di quanto appare, lo scintillante ambiente del cinema qui descritto somiglia a una galleria di mostri, spesso comici. Così Michelangelo Antonioni, tirato in ballo da Rondi che gli rimprovera un «cinema oscuro», quel «cinema dell'incomunicabilità» del quale poco si comprende, nel 1965 scrive una lettera, battendola a macchina. «Tu non sei un uomo amato, Gianluigi, sei forse temuto, forse stimato, ma amato no. Viviamo nell'epoca di James Bond, il quale ti avrebbe scaraventato fuori dalla finestra e subito dopo si sarebbe aggiustato il fiore all'occhiello», picchia sui tasti il ferrarese, offeso che gli si preferisca Pietro Germi, lui sì, autore del «cinema chiaro», cioè comprensibile. C'è poi Alberto Bevilacqua, che non manda giù le critiche del critico Morando Morandini sul Giorno : «Morandini è un uomo avvelenato da se stesso, è formato dai propri complessi», verga a mano il «califfo» dei libri, finito nel dimenticatoio.

È quasi una fortuna per tutti che dei critici e delle loro palle, o stelle, attualmente non importi molto né al pubblico, né a chi il cinema lo fa. E invece Bertolucci, nel 1982, si rivolge a Rondi «con speranza e vivo desiderio»: deve promuovere Sconcerto Rock di Luciano Mannuzzi, che ha prodotto. Nel 1998 Pupi Avati chiede: «Quei quattro magnifici asterischi che ci hai dato sono scomparsi. Riappariranno?». E se nessuno più ringrazia per una recensione, neppure via mail, il fumettista Bruno Bozzetto, regista di Sotto il ristorante cinese , invia un bel disegno. Una lettera lapidaria arriva da Adriano Celentano, che grazie a Rondi viene invitato al Festival di Cannes con Yuppi Du . «Posso soltanto dirti che questo film parla di donne e di soldi, questi due mondi che dai tempi di Adamo ed Eva stanno combinando solo guai», liquida il Molleggiato.

Un capitolo a parte merita il rapporto tra Rondi e Pier Paolo Pasolini, che al «Doge nero», come nel 1971 l' Espresso soprannominò il critico per via del suo conservatorismo, dedica un epigramma all'indomani della stroncatura che Rondi fece de I diavoli di Ken Russell: «Sei così ipocrita che quando l'ipocrisia ti avrà ucciso/sarai all'inferno e ti crederai in paradiso». E, ancora, a Natale 1961: «Gentile Rondi, che ingiustizia! Sono anni che non scrivo biglietti di auguri.

Ho qui davanti un mucchio di biglietti e non rispondo. Rispondo invece a Lei, che sta dalla parte dei mostri». P.P.P. è morto; Rondi, invece, a novembre svelerà un altro suo carteggio, più intimo e urticante, con le star straniere. Più «cattive» delle nostre, pare.

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