di Francesco Giubilei
I l rapporto tra cultura e politica è stato un tema a lungo dibattuto nel corso del Novecento, in particolare durante il ventennio fascista in cui lo Stato ha assunto un ruolo pressoché egemonico nella gestione della cultura. Dal 1945 e soprattutto dopo il Sessantotto, i partiti e i pensatori progressisti hanno avuto il predominio nella gestione e nell'organizzazione della cultura in Italia realizzando il concetto di egemonia culturale teorizzato da Gramsci.
La maggioranza dei docenti delle scuole superiori, dei professori universitari, degli scrittori, dei registi, degli editori, dei giornalisti e, più in generale, degli intellettuali, si è riconosciuta nel pensiero progressista. Sul controllo della cultura si è basato il concetto di superiorità morale della sinistra, a cui si è associata un'immagine della destra gretta e chiusa negli anni Settanta, frivola e irresponsabile durante il ventennio berlusconiano, razzista e populista ai nostri giorni, facendo emergere nei principali canali di informazione una destra disinteressata alla cultura. A onor del vero, la classe dirigente dei principali partiti di destra e centrodestra ha le sue colpe: anche quando è riuscita a governare, ha sempre considerato la cultura un aspetto marginale o secondario, senza comprendere che la formazione culturale specie delle nuove generazioni è la base su cui si fonda il futuro e la sopravvivenza dei partiti politici e su cui si formano i futuri leader.
L'attuale panorama politico, con la frammentazione e la scomparsa dei partiti che avevano storicamente rappresentato il mondo della destra, è l'esempio emblematico di un fallimento che, se è avvenuto a causa di scelte politiche errate, nasce in realtà dalla mancanza di una visione culturale a lungo raggio. A ciò si aggiunga che stiamo vivendo in un'epoca sempre più post-ideologica e il futuro per le forze politiche che si definiscono di destra appare quanto mai difficile. Nonostante la crisi che stanno vivendo anche i partiti di sinistra in parte dovuta al citato superamento delle ideologie, storicamente, a differenza delle forze politiche di destra, i partiti e gli intellettuali progressisti hanno compreso che la cultura è necessaria per favorire la formazione di leader, militanti e semplici cittadini. Sarebbe sufficiente leggere Gramsci per capire il ruolo della cultura nella formazione della coscienza critica di un individuo. Questo libro tratta la storia della cultura di destra italiana dal dopoguerra ai nostri giorni tralasciando il periodo fascista, sia per l'ampio numero di pubblicazioni già esistenti che studiano il ruolo della cultura durante il ventennio, sia per la delicatezza del tema affrontato che richiederebbe un'analisi approfondita a partire dalla domanda se il fascismo possa davvero definirsi di destra.
Analizzando teorie e programmi che costituiscono il pantheon della dottrina del fascismo delle origini, emerge come siano prevalenti idee più vicine al socialismo che a un pensiero conservatore o cattolico, senza considerare le posizioni opposte a quello liberale (su cui è necessario porsi un quesito analogo: si può definire la cultura liberale di destra?). Eppure, anche limitando l'oggetto di studio di quest'opera al dopoguerra, uno dei temi più delicati e spinosi è proprio il rapporto tra la (cultura di) destra e il fascismo.
Al netto della vasta letteratura esistente sulla politica culturale del regime, in questa pubblicazione ci limiteremo ad affermare che, se la cultura di destra si è sviluppata in anni recenti anche grazie ad autori che si sono formati durante il ventennio, allo stesso tempo definire il fascismo di destra è un errore storico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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