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Un indiano e una "nera", ecco gli intellettuali di Trump

Dileggiato e frainteso, il presidente degli Stati Uniti in realtà è l'artefice di una vera rivoluzione. Che ha i suoi campioni...

Un indiano e una "nera", ecco gli intellettuali di Trump

C'è in Europa una sconsiderata fretta di bollare Donald Trump e la sua politica come populismo del genere che gira in Europa: è secondo noi un errore causato da miopia. Ad esempio, non c'è alcuna similitudine fra il motto «America First» e tutti gli altri «First» dei sovranisti del vecchio continente. Quello americano significa: «Ci siamo stufati di salvarvi, col risultato di far pagare a noi tutti i conti della vostra dolce vita, mentre i lavoratori americani perdono posti di lavoro per le vostre merci prodotte a pancia piena e culo comodo». Siccome l'Europa ha la digestione cerebrale lentissima quando si tratta di metabolizzare le novità americane e va a rituale rimorchio degli slogan prefabbricati, vorrei partire da una notizia che è sotto gli occhi ma che pochi vedono: quella di una nuova Rivoluzione Americana. Si tratta della rivoluzione di Trump, detestato e ridicolizzato. Bene, quell'uomo così complesso e imprevedibile e spesso non simpatico, sta diventando il padre di un'ideologia ragionata, efficace e intellettuale.

Due in particolare sono i campioni della rivoluzione: l'indiano (dell'India) Dinesh D'Souza, che diventò un collaboratore di Donald Reagan appena giunto in Usa; e la bellissima geniale trentenne nera Candace Owens, che viene dall'America ghettizzata («Andavo da bambina continuamente in prigione per visitare i parenti, avevo tempo da perdere e così ho letto tutti i libri esistenti») ma parla e pensa come Winston Churchill. È lei la bestia nera, tanto è vero che persino lei, scurissima di pelle, è stata accusata di «suprematismo bianco», il marchio più odioso e ridicolo, oggi di moda nella caccia alle streghe: puoi diventare un suprematista bianco semplicemente dicendo che l'America è stata scoperta da Cristoforo Colombo, perché Colombo è ormai considerato un criminale genocida come Hitler.

Candace Owens fracassa tutti i tabù su cui si basa il mercato dei voti dei neri: non vuole saperne delle lagne sui poveri afroamericani ai quali i buoni democratici hanno imposto l'aborto per contenerli, dissuadendoli dal metter su famiglia. Candace trascina i neri nelle file di Trump ricordando che oggi una ragazza nera dai 14 anni in poi ha più interesse a sfornare un figlio dopo l'altro senza marito per incassare il sussidio, creando un popolo di sbandati minorili.

D'Souza è invece un nemico giurato di Obama e Hillary Clinton e uno storico dei partiti americani. È finito anche in galera unico negli Usa per aver superato il limite di contributo che si può versare a favore di un candidato alle elezioni, cosa avvenuta subito dopo aver pubblicato un documentario su Obama andando a intervistare in Africa suo fratello, un intellettuale che rimpiange l'impero britannico e che disprezza Barak. Quel film è stato una delle cause della disfatta democratica.

L'America è un Paese speciale: l'unico in cui i poveri sono grassi, l'unico dove tutti (o quasi) sognano di andare, l'unico che non ha confronti nel mondo. Si chiama «American Exceptionalism» ed è l'effetto dell'unica rivoluzione che abbia finora con mille contraddizioni seguitato a funzionare senza perdere la spinta propulsiva. L'America in fondo non è che uno dei tanti Stati di lingua inglese come Australia, Canada, Nuova Zelanda o Sud Africa, ma la sua eccezionalità sta nel seme della sua costituzione che non è buonista ma premia individualismo e libertà fino all'anarchia (il secondo emendamento che autorizza i cittadini a girare armati).

Partiamo da quel che accadde a gennaio al Lincoln Memorial di Washington DC. Un gruppo di liceali maschi cattolici, arrivati nella capitale dal Kentucky, manifestava sui gradini contro l'aborto, in silenzio, con dei cartelli. Ma questi giovani maschi bianchi cattolici del Kentucky portavano in testa i berretti MAGA, acronimo del «Make America Great Again», slogan trumpista. Ecco che un gruppo di neri che si dichiarano «Veri Israeliti Africani», respinti e detestati dai veri ebrei, circonda i liceali insultandoli con epiteti feroci «A bunch of incest babies, babies made out of incest», figli dell'incesto e «culi sporchi», facendosi sempre più minacciosi. I giovani maschi bianchi cattolici e repubblicani non fanno una piega ed ecco che entra in scena un terzo protagonista etnico-religioso: un gruppo di vecchi pellerossa (termine oggi considerato «derogatory», dunque proibito) guidati dal più anziano di loro, Nathan Phillips della tribù Omaha, che è anche un veterano della seconda guerra mondiale: nativo e patriota. Gli indiani indossano pelli, collane e percuotono tamburi. Dirà poi Nathan Phillips di aver guidato il suo gruppo fra i neri israeliti e i cattolici bianchi per impedire che uno scontro.

A questo punto scoppia il più inconsistente scandalo che la CNN abbia travasato su tutte le News del mondo. Che cosa è accaduto? Nulla. I ragazzi bianchi circondati prima dai neri israeliti e poi dai pellerossa, sono restati impalati guardando i nuovi venuti con un sorrisetto sfottente (uno «smirk»). In America non puoi «smirk-are» ciò che è consacrato dalla retorica del politicamente corretto, e a un vecchio pellerossa ex combattente non puoi fare una faccia sfottente. Vergogna. Suprematista bianco. La CNN ha portato davanti alle telecamere una serie di santoni preoccupati dell'arroganza repubblicana, mentre lo studente che aveva tenuto testa con un sorriso agli insulti, il liceale Nick Sandmann, rispondeva cortesemente alle interviste spiegando di aver fatto l'unica cosa che gli sembrava appropriata: sorridere in silenzio.

Questo curioso episodio dimostra ciò che da tempo era nell'aria: è chiusa per sempre l'era utopica della fusione pacifica e colorata delle razze e religioni in America. Salvo l'«upper class» delle megalopoli, per il resto le etnie e le confraternite religiose si sono chiuse a riccio e non amano le commistioni. Anche a New York, dove fino a vent'anni fa vedevi i ragazzi bianchi e neri, latini e asiatici, fare comunella alla fermata del bus per poi studiare insieme, fare sesso e magari anche prole, adesso se ne stanno neri con i neri, latinos con i latinos e asiatici per conto loro. Non si odiano, ma non si amano.

Tutto ciò è visibile per strada e su internet, al cinema e su Netflix che guida a suo modo l'arte cinematografica delle diversità, come il film Roma appena arrivato al massimo successo hollywoodiano. L'America è oggi volta ad Oriente, i miei figli non studiano al liceo americano la storia europea ma un fritto misto: un po' di piramidi Maya, qualche faraone, le tribù native e pochi cenni sulla guerra d'indipendenza. L'America respinge la storia unificata perché non può permettersi di privilegiare alcuna storia.

Arriviamo così alle avvisaglie della rivoluzione trumpiana che poggia non sugli spin doctor (uno peggio dell'altro) ma su due comunicatori formidabili: l'indiano Denish d'Souza e Candace Owens. Entrambi hanno una capacità linguistica e di ragionamento formidabile: logica, storia, reazione, confutazione, coraggio, nessun cedimento alla melassa dei sentimenti. D'Souza arrivò da Bombay per fare l'Università ed entrò nella squadra dei «reaganomics». Candace si fa detestare dai neri democratici perché sostiene che i suoi fratelli e sorelle sono prede della «Victim of mentality oppression» e corrono per le olimpiadi del vittimismo, macchine piangenti per fare cassa e voti per i democratici. Adesso basta, dice Candace, Su la testa! e scriviamo la storia.

D'Souza ha messo i bastoni fra le ruote di Obama andando a intervistare suo fratello in Africa, ed entrambi vengono trattati come poco meno che neo-nazi dagli studenti dei campus, dove vanno a portare la loro sfida. Candace è molto divertente quando racconta che si è sentita dare della «suprematista bianca» da ragazzine con gli occhi azzurri, e D'Souza ha mandato in tilt tutte le tv dimostrando che persino la guerra civile fu tra democratici schiavisti e repubblicani abolizionisti. D'Souza ha dimostrato anche l'eterna collusione fra democratici americani e fascisti italiani fino alla guerra, semplicemente perché il fascismo era una delle forme di socialismo in campo: tutto nello Stato, nulla fuori dallo Stato.

La destra di entrambi, e secondo le loro parole anche di Trump, è una destra anarchica, con governo leggerissimo, lontano dal welfare dell'Europa imbrogliona. Questo ci sembra un punto fondamentale per noi europei, abituati a considerare i fascisti come estrema destra e i comunisti estrema sinistra, trascurando l'estremismo nel Dna della rivoluzione americana che era e resta quello dell'individualismo senza Stato al quale competono poche e precise funzioni di servizio. D'Souza ha sfidato torme di studenti infuriati perché la sua descrizione del fascismo italiano e del social-nazionalismo tedesco non corrispondevano ai cliché della correttezza politica. Trump è un combattente scorretto, spesso antipatico e «con un ego himalayano» (D'Souza)? Bene, dicono i suoi sostenitori intellettuali: questo è ancora nulla, il resto verrà con l'abbattimento di tutti i tabù su sesso, razza, ricchezza, religione, e lagne sugli oppressi nullafacenti, viziati da welfare e redditi di cittadinanza.

È un populismo diverso da quello che conosciamo in casa nostra.

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