Il 7 è il suo numero fortunato, dice. E per 7 anni di fila ha atteso il Nastro d'Argento, arrivato nella 70esima edizione dell'ambito premio. Paolo Genovese superstar a Taormina, quindi, dove Perfetti sconosciuti è risultata la migliore commedia dell'anno. "Rischiavo di diventare il DiCaprio del Sindacato dei giornalisti cinematografici!", scherza il quarantanovenne regista e sceneggiatore romano, alludendo al fatto che piaceva a pubblico e critica, anche all'estero, senza però ottenere il definitivo sigillo di garanzia. Quest'anno, invece, tra Nastro, Ciak, Globo e David, la piena riuscita è consacrata. "Un anno importante, questo: ho toccato diversi livelli di profondità, raggiungendo il pubblico popolare e la critica sofisticata", riflette. A differenza di molti suoi colleghi, meno talentuosi, non si dà arie, né si sente arrivato. Va in ferie, allora? Neanche per idea: eccolo al lavoro sulla sceneggiatura del prossimo film di Gabriele Muccino e sul proprio erigendo film. Un'altra commedia, Il primo giorno della mia vita, prodotta dalla Lotus Film e distribuita da Medusa, però distante anni luce da Perfetti sconosciuti.
Ansia da prestazione, dopo tutti questi premi?
"Immagino che il nuovo sindaco di Roma, Virginia Raggi, debba sentirsi come mi sento io adesso Dato il consenso assoluto, ora devo fare del mio meglio. In ogni caso, preferirei sbagliare il film, piuttosto che girare un film banale. Mi sento responsabilizzato al massimo".
Di che cosa parlerà Il primo giorno della mia vita?
"Il soggetto e la sceneggiatura sono miei anche stavolta. E siamo al polo opposto, rispetto a Perfetti sconosciuti, film cinico, duro e senza speranza. Stavolta voglio parlare di quant'è bella la vita. Sarà una riflessione sulla difficoltà nel capire quanti doni abbiamo, senza accorgercene. Su quante cose diamo per scontate. Su quanto facilmente rischiamo di non renderci conto del valore di ciò che ci circonda".
La vita è meravigliosa, allora. Siamo dalle parti di Frank Capra? Un remake americano di Perfetti sconosciuti, del resto, è in viaggio
"Magari! Certo, la vera sfida, adesso, è internazionalizzare i nostri film. Intanto, penso di girare a New York o a Shanghai, città che sono crocevia di culture diverse. Prendiamo i film coreani, per esempio: diventano internazionali per un attore, o una location stranieri. Oppure, un film-gioiello come Locke di Steven Knight: un film interamente girato nell'abitacolo d'una macchina, col protagonista che parla al telefono in viva voce. La riuscita non la dà l'originalità del tema. Tanto, le tematiche sono già state affrontate tutte".
Qual è il segreto del film perfetto?
"L'originalità è nel punto di vista. Nel modo in cui racconti la storia. In Perfetti sconosciuti il punto di vista era adeguato al nostro momento storico: osservare la vita attraverso uno smartphone. Chiunque, uscito dalla sala, dopo aver visto il film, si chiedeva: che cosa farei, io, se scoprissero i miei segreti sul cellulare? Il segreto del film perfetto è l'idea".
Per avere le idee, occorre leggere molto. Lei legge?
"Leggo moltissimo, da sempre. Purtroppo, al momento non riesco a leggere un romanzo, senza pensare di farci un film su! E questo, un po' ti leva il piacere della lettura per la lettura. In Italia ci sono pochi sceneggiatori, perché non ci sono idee. Leggo a rotta di collo, anche per prendere spunti".
Che cosa sta leggendo, al momento?
"Cerco sempre di leggere gli italiani. Ho sul comodino La banda della culla di Francesca Fornario. Tre coppie di giovani di 20, 30 e 40 anni, unite dal desiderio più osteggiato, nel nostro Paese: mettere su famiglia.
Per avere figli, serve un piano. Poi, mi ha colpito molto Succede, romanzo di formazione di Sofia Viscardi, una blogger diciottenne che racconta i giovani. Attraverso gli occhi della protagonista diciassettenne, si scopre il mondo dei teenager".
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