Irons: «Lavorerei con Sorrentino»

L'attore, dopo il film con Tornatore, vuole tornare a girare in Italia

Cinzia Romani

da Ischia

«Io considerato ancora un sex-symbol? La cosa mi diverte, anche se non è più come quand'ero giovane. Ma, visto che la platea cinematografica mondiale è, per metà, femminile, sono contento. Però, non è che non ci dorma di notte!», dice Jeremy Irons, arrivato al Global Fest per ritirare il premio «Ischia Legend Award - Nel nome di Luchino Visconti». Vestito da classico inglese al mare, con i sandaletti di cuoio e i pantaloni di tela alla pescatora arrotolati sulle caviglie magre, l'attore premio Oscar classe 1948 sembra più un pensionato di lusso che un rubacuori. Con senso pratico anglosassone, in effetti la star bada al sodo: non a caso è figlio d'un ragioniere. Piace e lo ritengono attraente? Ben venga: gira film a macchinetta, quindi budget stellari e fama assicurati. Sposato con Sinead Cusack, un figlio e un castello in Irlanda, Jeremy ritiene di avere più fama e più denaro di quanto gliene occorra. Pensando a Luchino Visconti, ricorda l'eredità culturale del cinema italiano. «Ho un rapporto di ammirazione con essa, avendo lavorato con i registi della generazione successiva: da Franco Zeffirelli a Bernardo Bertolucci, conservo ricordi meravigliosi. Visconti è un pezzo della mia gioventù, appartiene alla mia storia». E poi snocciola i suoi progetti estivi: ha finito di girare Assassin's Creed e Justice League, il film su Batman in cui interpreta ancora il maggiordomo Alfred, diretto da Zack Snyder. Poi lo attende An Actor Prepares, col ruolo di un attore dalla carriera spettacolare.

«Con l'età, tendo a scegliere set che non mi facciano stare troppo lontano da casa - racconta Irons - ho 67 anni e, se si pensa che, a 65, normalmente la gente va in pensione... Sono duttile: mi piacciono i blockbuster come Batman e anche i film più piccoli e poco costosi». C'è spazio anche i ricordi di inizio carriera. «Subito dopo il college, mi son messo la chitarra a tracolla e ho cominciato a guadagnarmi da vivere suonando per la strada. Mi avevano messo in guardia dall'intraprendere il mestiere di attore, però da ragazzo desideravo restare al di fuori della società. A poco a poco, mi sono avvicinato al teatro, la mia vera passione. Comunque, ero troppo borghese, anche come estrazione, per dormire all'aperto, o al seguito di qualche circo ambulante... A un certo punto, sono andato in America, però lì, come attore, non venivo valorizzato. In realtà, desideravo espandere le mie possibilità di carriera, tra Gran Bretagna e Usa».

Domanda classica, con quale regista italiano gli piacerebbe lavorare, dopo aver girato La corrispondenza con Giuseppe Tornatore. «Credo con Paolo Sorrentino, il regista italiano del momento.

Con Tornatore, regista molto letterario, ho passato molto tempo a tradurre il copione: l'italiano non è lingua facile e Tornatore tiene moltissimo all'aderenza ai testi. In ogni caso, l'individualità e la passione sono le due cose che, dei registi italiani, più ammiro».

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