"Jfk, mafia e Vietnam. Sfato il mito dell'America anni '60"

L'autore del noir "November Road": "Per gli Usa sono stati come la perdita dell'innocenza"

"Jfk, mafia e Vietnam. Sfato il mito dell'America anni '60"

Frank Guidry è un uomo spietato e furbo. Frank Guidry lavora per Carlos Marcello, il re della mafia di New Orleans, un uomo potentissimo e pericoloso. Coinvolto, niente meno, che nell'assassinio del secolo: quello di Jfk. Solo che, per sua sfortuna, anche Frank Guidry è rimasto coinvolto; e quando lo capisce è troppo tardi. Resta solo la fuga: un lungo viaggio verso Ovest in cui incontrerà Charlotte, donna infelice e indipendente, a caccia di una vita nuova lontano dal marito alcolista, che ha avuto il coraggio di lasciare... Ma la via del riscatto è una November Road dice Lou Berney nel suo noir, elogiato dal grande Don Winslow, e fra i migliori libri del 2018 per il Washington Post (HarperCollins, pagg. 348, euro 18). Berney ne parlerà nei prossimi giorni, nel corso di un breve tour italiano, fra a Milano (giovedì 23 gennaio, ore 20 e 30, Osteria del Biliardo, con Luca Crovi) e Mestre (venerdì 24 gennaio, ore 18.30, Libreria Ubik).

Lou Berney, perché ha scritto un noir che ha al centro l'omicidio di Kennedy?

«Sono sempre stato affascinato dall'assassinio di Kennedy. È stato un tale terremoto nella storia americana che ho pensato sarebbe stato un'occasione per interrompere le vite dei personaggi, in modi diversi».

Suggerisce che sia stato un omicidio criminale, più che politico?

«Che lo si ritenga responsabile dell'assassinio oppure no, Carlos Marcello era sicuramente motivato da un odio personale verso i fratelli Kennedy. In generale, nei primi anni Sessanta in America il personale e il politico si sovrapponevano a livello allarmante».

Com'è la «sua» America degli anni Sessanta?

«Tradizionalmente, gli anni '60 sono visti come un'epoca di pace, prosperosa, idilliaca. In realtà era un periodo molto più complesso e interessante, con questioni sociali e politiche che iniziavano a bollire in pentola. Credo che molti di quei temi stiano ancora scaldando l'America di oggi».

Come è riuscito a descrivere la mafia così nel dettaglio?

«Mi sono molto, molto documentato sul crimine organizzato degli anni '50 e '60. Un argomento affascinante».

Come ha affrontato la figura di Carlos Marcello?

«Il personaggio storico era molto colorito. Ho lasciato da parte certi aspetti della sua personalità, per esempio il fatto che fosse ossessionato da trapeziste e ballerine di flamenco, perché non volevo ritrarlo troppo ampiamente».

Come ha lavorato su più livelli, il noir, il piano storico, quello personale?

«Mi ha richiesto moltissima revisione. Ho dovuto costruire la storia e i personaggi strato dopo strato. Il che significa che sono uno scrittore lento, purtroppo...».

Charlotte è una donna forte e libera. È vero che è ispirata a sua madre?

«Assolutamente. Mia madre è cresciuta nella povertà, ma era molto intelligente e resiliente. E, come Charlotte, era una donna piena di spirito e di ambizione. Ha sempre voluto di più, per sé e per i suoi figli».

Charlotte fugge dalla sua noiosissima cittadina in Oklahoma. Ha avuto la stessa esperienza?

«Sono cresciuto a Oklahoma City, che è molto più grande e cosmopolita della cittadina di Charlotte. Però sì, quando ero giovane volevo sicuramente lasciare la mia città natale e vedere il mondo».

I suoi modelli?

«Sono moltissimi i grandi scrittori di crime... Kate Atkinson è una scrittrice che mi spinge sempre a fare meglio».

November Road diventerà un film?

«È già al lavoro il regista Lawrence Kasdan, che ha creato alcuni dei film simbolo della storia di Hollywood. Non sono coinvolto nella scrittura, ma sono più che felice che una leggenda come Kasdan si occupi della sceneggiatura».

Che cosa c'entra l'Inferno di Dante in un noir americano?

«Beh, Frank non è un criminale qualsiasi. Volevo che fosse istruito, riflessivo. Per renderlo un personaggio più complesso e, anche, per divertirmi di più a scriverne».

Nella trama c'è anche la guerra del Vietnam.

Insieme all'uccisione di Jfk è la svolta della seconda metà del '900 americano?

«Credo che siano i due eventi che hanno cambiato la percezione che l'America aveva di sé. Entrambi, il Vietnam e Jfk, per l'America sono stati come la perdita dell'innocenza».

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