Cultura e Spettacoli

Judd Apatow esalta i suoi "eterni bambini"

Lockdown o non lockdown, Judd Apatow sa sempre come centrare il successo

Judd Apatow esalta i suoi "eterni bambini"

Lockdown o non lockdown, Judd Apatow sa sempre come centrare il successo. Il suo nuovo The King of Staten Island, distribuito, negli Usa, direttamente sulle piattorme VOD (acronimo con il quale, ormai, dovremmo aver fatto i conti e che sta a significare che un determinato film lo si vede, a casa, a noleggio o con abbonamento, attraverso uno dei tanti operatori di contenuti in streaming) si è subito guadagnato il posto d'onore tra i titoli più noleggiati in America, a dimostrazione di una «fiducia a scatola chiusa» ben guadagnata nel corso degli anni. Nel nuovo film, da noi visibile, in contemporanea, sia su Sky Primafila e nelle (poche) sale cinematografiche aperte, protagonista è Scott, che rappresenta l'alter ego dell'attore che lo impersona, Pete Davidson (qui anche sceneggiatore e produttore), altro prodotto di quella fucina di comici che è il Saturday Night Live. Esattamente come capitato, nella vita reale, a Davidson, qui, nel film, Scott, figlio di un pompiere, ha perso il padre, all'età di sette anni, durante il tragico attentato dell'11 settembre. Un vero shock per il giovane che ora, più che ventenne, si comporta come se fosse un liceale. Tutto il giorno, perde tempo con gli amici, fumando erba e senza mai dichiararsi alla sua amica d'infanzia (Bel Powley); ha una sorella più piccola (Maude Apatow) che, a differenza sua, sta per andare al college. Il ragazzo vive con la madre (Marisa Tomei, sempre una garanzia) e quando questa comincia a frequentare un altro uomo, tra l'altro anche lui vigile del fuoco (Bill Burr) ed ex collega del padre, Scott va fuori di matto, cercando di boicottare la loro relazione e, soprattutto, facendo i conti con un dolore sempre tenuto represso, ma che, evidentemente, è ancora condizionante. Diventerà, finalmente, maturo? Il protagonista eterno bambino è un tratto comune delle storie di Apatow e Davidson, identificandosi in toto con Scott, offre una performance ironicamente dolente, tenera, toccante, partecipata.

Un malessere esistenziale, comune a molti, esorcizzato sul divano di casa.

Commenti