Ismail Kadare è il massimo scrittore della letteratura albanese contemporanea. Ha 82 anni. È nato nel 1936, nell'antichissima città di Argirocastro, Gjirokastër. La stessa città di Enver Hoxha, lo spietato dittatore dell'Albania dal 1944 alla morte, nel 1985, e che gettò il Paese in una miseria dalla quale non si è mai del tutto sollevato.
Kadare ha amato e ama l'Albania. Ha vissuto la lunga umiliazione del regime di Hoxha e poi del suo fedelissimo, Ramiz Alia. Nel 1990, alla vigilia delle prime elezioni libere in Albania dopo cinquant'anni di comunismo feroce, se ne andò in Francia, esiliato politico. Nel suo Paese ora torna ogni tanto, a Durazzo o a Tirana. Qui è nato, qui nascono tutti i suoi libri. Che parlano di tiranni, di totalitarismi, di conflitti, di diritto alla libertà, ma anche di leggende, tradizioni, storia e memoria dei Balcani.
Ismail Kadare - in Francia, Kadaré - ha vinto molti premi, ed è stato più volte candidato al Nobel. Poche settimane fa ha vinto il premio Nonino 2018. E da pochi giorni la sua casa editrice italiana, La nave di Teseo, ha pubblicato La provocazione (pagg. 88, euro 7; traduzione di Liljana Cuka Maksuti). Romanzo breve, o racconto lungo, è stato scritto nell'ottobre 1962. Ma è una storia senza tempo, e di per sé senza luogo, e quindi universale. È la storia, eterna, dell'incapacità umana di rifiutare l'insensatezza della guerra, che in forme e modalità diverse continua a travolgerci, secolo dopo secolo, in ogni angolo del pianeta.
Kadare in poche pagine di grande bellezza racconta di due nazioni in guerra, che si capisce sono più simili e vicine di quanto i loro governi ammetterebbero mai. Due postazioni fronteggianti, una linea di confine, le trincee a pochi metri di distanza una dall'altra. È inverno, la neve copre tutto, blocca le comunicazioni e congela anche la volontà di combattere. I due eserciti si sorvegliano, si spiano, ma non sparano. Gli alti comandi sono lontani, e un piccolo caporale può persino cambiare le cose, per un momento. Una pausa nell'orrore.
Breve, ma abbastanza lunga per fare passare attraverso il confine una barella. Con un ferito. Una donna. È un atto d'umanità, o forse soltanto una provocazione.Dopo, tutto torna alla normalità. Cioè alla follia e alla ferocia della lotta.
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