Ha ancora senso parlare di sinistra o destra? Sono davvero categorie superate? Probabilmente sì. Anche perché la vecchia sinistra post comunista si è estinta sia a livello politico sia a livello intellettuale. Il Partito democratico sembra ignorare la propria attuale irrilevanza. Non si occupa dei problemi del Paese, ma del problema del potere all'interno di un partito che ormai ha più scissioni che elettori. Gli intellettuali dell'area hanno ereditato posizioni importanti nell'editoria e nelle università. Ma la pochezza della proposta è evidente: non si va al di là del politicamente corretto, della retorica sui diritti (che porta alla distruzione del Diritto), di un antifascismo sempre più ridicolo per mancanza di materia prima, i fascisti. Non si occupano del popolo se non per rifilargli una predica sulla xenofobia e il razzismo, come se fossero questi i dossier più urgenti. C'è poi una nuova sinistra giacobina, al governo. Purtroppo abbiamo quotidianamente sotto gli occhi il suo valore e la sua consistenza: statalismo, giustizialismo, incompetenza. A questo bisogna aggiungere l'anomalia dell'alleanza con una parte del centrodestra, la Lega di Matteo Salvini, che incassa successi sull'immigrazione, ma rischia la pelle nell'appoggiare le misure assistenzialistiche targate Di Maio.
La destra è un'area molto più estesa rispetto ai partiti che la rappresentano. In questo momento, il mondo delle destre è in piena ebollizione. Riviste, associazioni e liberi pensatori bussano sempre più spesso alla porta della grande distribuzione oppure cercano modelli alternativi per diffondere libri e idee. Urge però un confronto per sviscerare i temi sui quali le destre marciano divise. C'è una destra liberale, liberista e atlantica. C'è una destra statalista, sociale e putiniana. Ci sono conservatori a cavallo tra queste due tendenze. Insomma, c'è di tutto. Per cercare un punto d'intesa, l'associazione Nazione Futura ha convocato oggi, dalle ore 14 e 30 alle 20, al Centro congressi Cavour di Via Cavour 50 a Roma, gli «Stati generali della cultura di destra». Tra i partecipanti, Francesco Giubilei, Tommaso Longobardi, Corrado Ocone, Marcello De Angelis, Marco Gervasoni Fabrizio Tatarella, Daniele Capezzone, Alessandro Campi, Diego Fusaro, Giovanni Orsina e altri. Un pomeriggio di dibattito per trovare un punto in comune dal quale partire.
Si potrebbe prendere in considerazione, per cominciare, il Manifesto dei conservatori di Giuseppe Prezzolini. La destra cerca ispirazione nei «fondamenti della vita sociale» (proprietà privata, famiglia, patria e religione) al fine di trovare soluzioni adatte ai problemi del presente. La storia è cambiamento continuo, ma una società libera sa trovare, da sola, le istituzioni sociali e i valori morali intorno a cui raccogliersi e costruire il futuro. Il conservatore è realista. Si schiera per il permanente contro il transeunte, per il provato contro il teorizzato, per i provvedimenti graduali contro le utopie rivoluzionarie. Ride di chi proclama l'uguaglianza degli uomini, alla quale preferisce la giustizia. Vuole la separazione dei meritevoli dagli incapaci. Crede nella competizione.
Per il conservatore, lo Stato deve essere forte ma minimo: «dovrebbe limitarsi a provvedere - scrive Prezzolini -, in modo tecnico perfetto, la sicurezza dell'indipendenza nazionale, le comunicazioni rapide e a buon mercato, l'igiene necessaria alla salute della popolazione, la scuola che sa scegliere i migliori, una vecchiaia non questuante, la cura delle malattie gratuite; e soprattutto dovrebbe offrire un corpo di giudici imparziali, un codice di leggi chiare, una esecuzione della giustizia rapida e poco costosa per tutti ed una stabilità che permetta ai cittadini di provvedere al futuro con una certa sicurezza».
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