Leone d'Oro alla violenza dello spietato Kim Ki-duk Flop del cinema italiano

Vince l’anticapitalista coreano. Premiati il blasfemo Seidl e il ’68 "critico" di Assayas. Polemica sul giurato Garrone che non ha difeso i "nostri" titoli

Leone d'Oro alla violenza dello spietato Kim Ki-duk Flop del cinema italiano

da Venezia

Ci sono un coreano, un americano e un austriaco. Manca solo l'italiano delle barzellette che s'è trasformato nel grande perdente della premiazione della 69esima Mostra di Venezia che si chiude con un tris pronto ad accontentare mezzo mondo tranne che il nostro paese. A partire dal Leone d'Oro per la migliore regia andato a Pietà di Kim Ki-duk, il quale, a sorpresa, appena ritirato il premio con tanto di pugno chiuso s'è messo a cantare un motivo popolare coreano che, come nella parabola anticapitalistica del suo film, parla di campi e del mondo rurale scomparso. Tutto questo durante una cerimonia di premiazione che ha ospitato alcune gaffe a rianimare la monotona messa cantata condotta da Kasia Smutniak. Poco prima sul palco sì è consumato l'equivoco dei premi invertiti andati a The Master di Paul Thomas Anderson, l'opera ispirata alla creazione di Scientology, e a Paradise: Faith di Ulrich Seidl, il film scandalo in cui la protagonista utilizza il crocifisso in maniera impropria. Ci ha pensato Laetitia Casta a ristabilire l'ordine tra le risate generali, allo statunitense è andato il Leone d'Argento per la migliore regia e all'austriaco il Premio Speciale della Giuria. A ritirare il premio, al posto di Paul Thomas Anderson, è stato lo straordinario attore Philip Seymour Hoffman che ha anche ottenuto, ex-aequo con Joaquin Phoenix (come anticipato ieri dal Giornale), la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: «Conosco da vent'anni Anderson con cui ho girato cinque film, è un grande amico e regista», ha detto l'interprete statunitense. Come migliore attrice è stata premiata un'emozionatissima Hadas Yaron, promessa sposa nell'israeliano Fill the Void di Rama Burshtein. A chiudere la rosa dei premi principali è stato quello per la migliore sceneggiatura di Olivier Assayas per il suo ritratto postsessantottino Après Mai e il Leone del futuro - Premio Luigi De Laurentiis andato al film turco-tedesco Mold di Ali Aydn, presentato alla Settiana Internazionale della Critica e acquistato da Nanni Moretti in persona per la sua Sacher Film. Naturalmente il grande escluso dal palmarès è stato Bella addormentata di Marco Bellocchio a cui già nel 2003 Mario Monicelli tirò un brutto scherzo impuntandosi contro Buongiorno, notte. Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema che ha prodotto il film con Cattleya, non nasconde tutta la sua delusione: «Siamo molto dispiaciuti che un'opera importante e coraggiosa come Bella addormentata non sia rientrata tra i film premiati». E non basterà certo a rasserenare gli animi per questa débâcle del nostro cinema, privato di riconoscimenti anche nel concorso della sezione Orizzonti vinto dal cinese Three Sister di Wang Bing, i premi di consolazione andati a Daniele Ciprì come migliore contributo tecnico per la fotografia di È stato il figlio, di cui è anche il regista, e il Premio Marcello Mastroianni come giovane attore emergente ottenuto da Fabrizio Falco sia per È stato il figlio che per Bella addormentata.
E come sempre sotto la lente d'ingrandimento finirà la giuria a cui verrà contestato questo o quel premio, questa o quella dimenticanza. Ma il suo presidente, il regista statunitense Michael Mann, in conferenza stampa ha immediatamente dettato la linea: «Abbiamo discusso per ore in quattro riunioni importanti e pesanti. Ma non voglio assolutamente discutere il processo che ha portato alle decisioni perché è riservato». Così, quando una giornalista ha chiesto un'opinione a Matteo Garrone sui film italiani, ci ha pensato un severo Mann a tappare - quasi fisicamente - la bocca al regista di Gomorra.

A parlare invece è stata un'altra giurata, l'attrice Samantha Morton, che ha detto nervosa: «La sua domanda è scorretta, non si chiede a un solo giurato di un paese di parlare del film del suo paese». Pochi minuti prima, il presidente della Biennale, Paola Baratta, chiudeva la cerimonia dicendo che «tutto era andato nel migliore dei modi». Non immaginava le polemiche che si stavano per scatenare.

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