Lepri, "ipse dixit" del giornalismo

Fu storico direttore dell'Ansa, quand'era la "madre di tutte le notizie"

Lepri, "ipse dixit" del giornalismo

Sergio Lepri, con la sua carriera, ha smentito Leo Longanesi, il quale, in uno dei suoi mille aforismi, sosteneva che un vero giornalista spiega benissimo quello che non sa. Bene, Lepri ha spiegato benissimo tutto quello che sapeva ed era molto, figlio di un'epoca priva di tecnologie dove l'unica fonte cui abbeverarsi erano il vocabolario della lingua italiana e, assieme, l'Enciclopedia Treccani e poi il campo, il marciapiede, il respiro continuo della vita degli altri, la comunicativa prima della comunicazione, l'informazione immediata, a volte scarna ma efficace. Vivere per cento e due anni ha significato abbracciare un secolo violento del giornalismo, violento perché ha fatto i conti con una rivoluzione strutturale, di forma e di sostanza, di lessico e, appunto, di fonti, la macchina per scrivere e la penna, stilografica o biro, buttate via per fare posto a dispositivi da James Bond, un lavoro freddo rispetto al pionierismo di cui Sergio Lepri può essere considerato un capo storico, così era l'Ansa la madre di tutte le notizie, nulla poteva essere vero se non confermato da quel dispaccio di agenzia, tutto poteva essere smentito se non arrivavano quelle poche righe, essenziali ma decisive: «Nevica. No, aspetta che lo dica l'Ansa».

Ecco il miracolo, ecco la leggenda con la quale una fetta grande dei giornalisti ha convissuto. Ricordo, nel nostro Giornale Nuovo, Gian Galeazzo Vergani che sfogliava, come un operaio alla catena di montaggio, grigiastri fogli e quindi li cestinava in un enorme contenitore in vimini, era quella l'ANSA, tutta maiuscola, era il lavoro di Sergio Lepri e della sua orchestra, era musica senza la quale non potevamo e non riuscivamo a ballare, altrimenti come mai avremmo saputo dell'America o dell'Unione Sovietica se non leggendo le famose note di agenzia di stampa? Alla sua statura fisica, piccola e per questo non gli fu consentito il corso di ufficiali, corrispondeva un'altezza di censo professionale, le idee liberali, frequentate proprio con il partito che fu per poi passare all'edera repubblicana, nel suo teatro ha visto passare giornalisti di censo massimo, da Montanelli a Levi a Zavoli e tutti lo onoravano, perché il toscano si faceva amare e rispettare, con la dolcezza dello sguardo e l'eleganza dei modi, senza volerlo, adesso, beatificare come si usa fare dopo la vita.

La sua cultura, vera, non un semplice sostantivo vuoto di tutto, gli ha permesso di seguitare a leggere e informarsi, non più soltanto con il giornale cartaceo ma con i siti, gli on line, il digitale, il nuovo mondo che forse non aveva più il profumo antico ma che conserva ancora la fragranza della notizia, il desiderio della scoperta, il

linguaggio fresco che per Sergio lepri era il primo dovere, lontano dai luoghi comuni, dalle frasi fatte, dalla friggitoria lessicale che, ahinoi, ci lascia, anche oggi, sugli abiti e sul corpo l'odore dello stantio e della noia.

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