Era stato fascista, Gadda. Lo era stato sin dall'inizio e quasi sino alla fine. Era dovuto arrivare il 25 luglio, e poi l'Otto settembre e infine l'esodo dei primi mesi del'44, e insomma il combinato disposto del Re che faceva arrestare il Duce, del voltafaccia militare di Badoglio e dei bombardamenti alleati su Firenze, perché la sua fede andasse in pezzi. Un'altra Caporetto era superiore alle sue forze.
Carlo Emilio Gadda (1893-1973) era un patriota e un uomo d'ordine e insieme un gran borghese che detestava la piccola e media borghesia, «l'attivismo salumieresco» che ne era alla base, e anche questo era tipicamente fascista, il pensare di fare una rivoluzione disprezzando la classe sociale che ne era alla base, illudendosi di purificarla con il pensiero e con l'azione... Proprio in quel 1944 in cui Gadda si scopriva antifascista per paura e per disperazione, era uscito L'Adalgisa, ovvero la summa del disprezzo che «il Robespierre della borghesia milanese» nutriva per «la somaresca tribù» che la incarnava, ma ciò che un decennio prima, quando la requisitoria aveva cominciato a prendere forma, rientrava nello spirito fascista antiborghese, un decennio dopo si rovesciava sulla testa del suo attonito creatore, mutata di segno e di senso. Non c'era più il fascismo al potere, ma c'era una guerra civile e un'invasione di eserciti; l'antifascismo nato dalla consapevolezza di una guerra perduta si mischiava a quello ideologico che fino al giorno prima era stato minoritario e in esilio; la Resistenza vedeva renitenza alla leva forzata nel nord del Paese, sussulti di indignazione e di riscatto nazionale, sensi di colpa e voglia di dare un taglio al passato. In questo magma, la gaddiana rabbia antiborghese rischiava di apparire disfattismo verso il nuovo mondo che nasceva dalle rovine del vecchio, atto d'accusa non contro il regime caduto, ma contro chi ne prendeva il posto...
Nel caos di quei mesi, Gadda temeva di essere sbrigativamente arrestato dai partigiani per connivenza con il fascismo, e sbrigativamente deportato dai tedeschi per vagabondaggio e/o diserzione: era scappato da Firenze, era finito ospite in un casale avendo per compagni di sventura un fascistissimo accademico d'Italia come Riccardo Bacchelli, ma anche l'ex rettore della Normale di Pisa Luigi Russo, radiato per non aver aderito alla Repubblica sociale. Proprio Russo gli aveva donato con tanto di dedica l'edizione del Decamerone da lui curata, ma Gadda aveva strappato quella pagina: troppo compromettente... Alla fine, si era messo a vagare per la campagna toscana, era finito dritto in bocca a un commando inglese e così era approdato a Roma. Eros e Priapo nasce allora.
Tra l'estate del '44 e la primavera del '45, il libro è pronto. «Volume di circa 300 pagine riguardante il sostrato erotico del dramma ventennale testé chiuso» scrive Gadda nella scheda di presentazione. «A carattere irruente, e redatto con estrema libertà di linguaggio. In gran parte il testo risulta di una prosa arcaicheggiante di tipo toscano cinquecentesco, con interpolazioni dialettali varie (romanesco, lombardo)». In sostanza, si tratta di un trattato sul carattere «narcissico» degli italiani, carattere che in Mussolini ha avuto il suo esempio più virulento, ovvero non tanto e non solo una rilettura psico-sessuale del Fascismo, ma piuttosto il rapporto tra narcisismo individuale e vivere civile e quindi l'incapacità delle masse a frenare la loro propensione all'idolatria narcisistica. Il Priapo Mussolini, insomma è stato reso possibile dall'«Eros naturale» di quaranta e passa milioni di italiani. «Se Eros è alle radici della vita e delle personalità individue, come dell'istinto e della pragmatica d'ogni socialità e d'ogni associazione di fatto, d'ogni fenomeno collettivo», la sua degenerazione è ciò che ha creato il Fascismo.
Eros e Priapo però non esce. «Intollerabilmente osceno» è il giudizio che nell'aprile del 1946 il critico Enrico Falqui gli fa avere a proposito della pubblicazione di un estratto sulla sua rivista. C'è però un contratto pronto con Alberto Mondadori e quindi il rifiuto di Falqui di per sé sarebbe ininfluente. Ciò di cui Gadda si rende conto è però ben altro: l'oscenità di cui lo si accusa, non è stilistica, non appartiene al linguaggio. Più semplicemente, la «classe dei colti» del suo tempo, di cui Falqui è uno dei tanti chierichetti, ma «Flora, Croce, Salvatorelli, Baldini» sono i sommi sacerdoti, si rifiuta di connettere con la storia «i fatti erotici nascosti sotto le parvenze oratorie, ornamentali della vita. E tuttavia la realtà sussiste e domanda di essere affermata». In sostanza, è l'impianto stesso di Eros e Priapo che viene contestato, la sua interpretazione, la fallocrazia come chiave di volta per spiegare una tragedia nazionale. Per dirla crudamente, volgarmente, ma anche gaddianamente, non è con il cazzo che si spiega il fascismo... E però, senza questo presupposto, Eros e Priapo, che altro non è che una variazione sul tema, non sta in piedi, diventa stilisticamente un mostruoso esercizio di bravura che, superato lo sbalordimento iniziale, si fa ripetitivo e si avvita su se stesso.
Passeranno ancora vent'anni, prima che il libro esca (nel '67). E però, quando accade, è come se fosse un altro libro. Ne danno conto benissimo Paola Italia e Giorgio Pinotti in questa nuova edizione (Eros e Priapo, Adelphi, pagg. 452, euro 24) basata sul ritrovamento del manoscritto originale. Si comincia con un editing che definire maldestro è dir poco, di Enzo Siciliano, allora redattore della Garzanti, si prosegue con intere sezioni mancanti, mentre altre sono espurgate, come autore non figura Gadda, ma un suo eteronimo anagrammatico, Alì Oco de Madrigal... È che, vent'anni dopo, la furia di quel pamphlet non gli appartiene più, anche perché «a nessuno è lecito persistere vanamente nell'odio, nella rancura». Gli sembra inopportuno e inaccettabile, un relitto «sgradevole e rozzo». Ha superato da tempo i settant'anni, Gadda, e gli rimangono ancora cinque anni di vita: si sente stanco e, soprattutto, si sente ostaggio degli editori, si difende come può. Editorialmente parlando, non è una bella pagina...
Torniamo un attimo indietro. La psicanalisi, si sa, può portare a tutto e quindi a niente. Lascia a desiderare come scienza, ma è una formidabile materia per romanzi. Sotto questo aspetto, il narcisismo infantile e fallocratico che in Eros e Priapo Gadda imputa a Mussolini, è speculare al narcisismo verbale e scurrile presente nel libro e sorprende che nessuno o quasi se ne sia accorto. Gadda qui è come Mussolini: esibizionista, innamorato di se stesso, sprezzante, gaudente e irridente, voglioso di stupire e di essere ammirato. L'uno e l'altro soffrono della stessa sindrome «narcissica».
In più, l'omosessualità di Gadda, nascosta, repressa, rimossa o latente che sia, funziona da detonatore di un conflitto erotico-sentimentale: sedotto dal Duce, l'uomo-scrittore Gadda si è ritrovato tradito e abbandonato e l'odio ha preso il posto dell'amore. Già, sul lettino dello psicanalista c'è materia per romanzi...
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