L'ideologia italiana? Individualisti sulle spalle dello Stato

Un saggio di Pietro di Muccio de Quattro analizza la nostra tendenza al malgoverno

L'ideologia italiana? Individualisti sulle spalle dello Stato

È il potere che corrompe gli italiani o sono gli italiani che corrompono il potere? Indro Montanelli studiò la materia e alla fine della sua lunga vita e della sua lunga Storia d'Italia si decise per il secondo corno del dilemma. Nel Postscritto che si legge nell'ultimo volume L'Italia dell'Ulivo, il grande giornalista scrisse di essere giunto alla conclusione che la corruzione non ci deriva da questo o quel regime ma ci deriva «da qualche virus annidato nel nostro sangue» che tutto contamina e riduce ad un «sistema di mafie». La citazione di Montanelli mi è ritornata in mente leggendo l'ultimo libro di Pietro Di Muccio de Quattro L'ideologia italiana edito da Liberilibri. È un saggio sotto forma di Dialogo tra Callido e Stolido, due personaggi immaginari eppur reali, che se le cantano e se le suonano sostenendo di volta in volta l'uno il rovescio dell'altro e collaborando a vicenda nei torti e nelle ragioni. Nel corso del dialogo si delinea l'ideologia italiana.

Cos'è? Lo si può dire con questa formula: gli italiani sono individualisti statalisti. Perché «sono realisti, concreti, pratici, accorti nella vita privata, curando i propri interessi» come è giusto che sia ma «diventano dottrinali, complicati, superficiali, incauti nella vita pubblica, occupandosi dell'interesse comune». Nel governare se stessi come individui sono bravi ma nel governo della Nazione sono un disastro: sono incuranti della «verità effettuale» e corrono dietro «alla immaginazione di essa» per dirla con Machiavelli. Sì, ma perché? Perché il rapporto tra gli italiani e lo Stato non si basa sul reciproco riconoscimento e sulla fiducia ma sul carnevale e sulla finzione. La scena pubblica di casa nostra, come diceva Barzini jr. nel suo Gli italiani, è una messa in scena. Il rapporto tra politica e italiani si basa su un consapevole equivoco, come nella commedia dell'arte. Al politico compete il ruolo di dire ciò a cui non crede e agli italiani quello di fingere di crederci. All'origine e alla fine di ogni tragedia nazionale c'è la farsa. Non è un caso che l'Italia sia il Paese più ricco di maschere: Arlecchino, Pulcinella, Colombina, Dottor Balanzone, Pantalone, Gianduia, Brighella, Stenterello, Scaramuccia, Meneghino, Giangurgolo, Capitan Spaventa, Burlamacco, Farinella, Sandrone, Truffaldino, Mezzettino, Frittellino, Traccagnino, Pedrolino. Questa grande mascherata nazionale - così simile alle avventure di Pinocchio che sono la biografia morale dell'Italiano - non è solo uno spettacolo nel quale ci si può specchiare ma anche e meglio il senso della vita pubblica in cui gli italiani divisi in fazioni e partiti non si riconoscono nello Stato che, però, vogliono conquistare per servirsene a proprio vantaggio e a danno degli altri italiani perché, come diceva Cossiga, i soliti italiani sono sempre gli altri.

La conseguenza della messa in scena è che la cultura politica italiana è destinata ad essere sempre profondamente illiberale perché la domanda che gli italiani si fanno non è «quanto si deve governare?» ma l'altra «chi deve governare?» e la risposta di volta in volta muterà restando la medesima: i rossi, i neri, i bianchi oppure la destra, la sinistra, il centro, oppure il Pd, la Lega, il M5S. Cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambierà perché mezzo e fine saranno sempre gli stessi: la conquista dello Stato - il Palazzo d'Inverno dicevano i comunisti - con cui avere un potere praticamente illimitato. Come ripeteva Lao Tzu «se il governo è poco attivo, il popolo è semplice e onesto; se il governo ficca il naso dappertutto, il popolo è pieno di difetti». E in Italia è così ma con una differenza: è l'ideologia italiana che vuole che il governo ficchi il naso ovunque. Con il risultato che lo Stato è lì dove non serve e non è lì dove servirebbe.

Così la democrazia italiana è illiberale. Lo dice bene Callido: «La democrazia illimitata, senza effettiva divisione e limitazione dei poteri, si autodistrugge per consunzione, per disordine, per disfunzione, per indebitamento. Un autocrate, incatenato a limiti stringenti e inviolabili, sarebbe preferibile a un governo rappresentativo, munito di poteri illimitati nella sostanza. La carcerazione preventiva, senza habeas corpus e rilascio su cauzione, in pratica ad libitum dei magistrati, e la tassazione fino a confisca sono solo due delle prove inoppugnabili a carico della nazione bensì democratica ma illiberale. Anzi, tanto illiberale quanto più democratica».

Non è casuale che le due ideologie del Novecento che più si sono affermate in Italia sono la comunista e la cattolica: in entrambe non c'è una concezione moderna e limitata dello Stato bensì quella contraria di un'istituzione salvifica alla quale affidare i corpi e le intelligenze nell'illusione pelosa di essere salvati così quando non ci si salva si sa con chi prendersela. Un alibi perfetto.

E visto che ho iniziato con Montanelli, concludo con Montanelli: «Ci salviamo o ci condanniamo da soli. Prima lo capiamo, meglio è».

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