L'uomo non sogna più la potenza di Prometeo

Divinità ed eroi sono raffigurazioni delle passioni e dei flussi di energia che percorrono l'anima umana

L'uomo non sogna più la potenza di Prometeo

Da sempre è insita nell'anima umana una pulsione a modificare la natura a proprio uso e consumo, a occuparne gli spazi, a creare strumenti per farlo più agevolmente e radicalmente, a edificare dove erano soltanto praterie e foreste. Questo è un movimento umano antichissimo, preistorico, che ha aiutato i nostri antenati primitivi a muovere i primi passi verso la civiltà.

Tutto comincia da quando il fuoco celeste fu rubato e portato sulla terra, a cuocere i cibi, a scaldare la caverna e a rendere incandescenti i metalli per forgiarli. Allora nasce il rapporto controverso tra anima e natura.

L'anima è natura, ma qualcosa di potente e contraddittorio la spinge a domare la natura in sé e fuori di sé, a costruire baluardi, templi, castelli, strade e poi palazzi, piazze, officine, metropoli con i loro grattacieli sempre più alti. Si riduce lo spazio del selvatico, dell'erotico, del meraviglioso a favore del civilizzato, del pratico, dell'utile. È un processo che ha raggiunto il massimo di potenza nella civiltà industriale occidentale: è grazie ad esso, sostanzialmente alla tecnica, che i bianchi hanno dominato il mondo.

Il dio che presiede a tutto questo è Prometeo, il Titano, il ribelle che ruba a Zeus il fuoco celeste per farne dono agli uomini, candidandosi così a diventare, come scrisse Marx, il primo santo di un calendario comunista (neppure il materialismo scientifico fu immune da riferimenti al mito!): prometeica è l'industria pesante con il suo paesaggio di ciminiere fumanti, prometeiche le grandi infrastrutture, le trivelle per estrarre petrolio dal fondo del mare, le gigantesche navi portacontainer, i gazometri, i metanodotti.

Ma nel XXI secolo, con la natura avvelenata e ferita, le foreste che bruciano, i mari che si impestano di plastica, l'aria che si ammorba di polveri sottili, il clima che cambia rovinosamente, le specie animali che sopravvivono a stento e la nostra specie sempre più insidiata da nuove, sconosciute pandemie, il rapporto dell'anima con la sua forza prometeica è cambiato. L'anima riprende a scorrere, ad essere soffio vitale, dimentica o mette sotto accusa Prometeo. Vuole che il fuoco torni sacro, vede lì la sua salvezza, e che tornino sacre le onde, le foreste, le nuvole. Quello che dei grandi costruttori mitici agisce oggi nell'anima non è tanto il senso del potere, della sfida alla natura, ma quello della condivisione e della salvezza.

Il figlio di Prometeo, Deucalione, costruisce l'arca per salvarsi dal diluvio, in uno strano parallelo con il Noè della Bibbia, e far rinascere il genere umano. E altri grandi costruttori sono Dedalo, che a Creta è al servizio della lussuria di Pasifae, della potenza di Minosse, ma che soprattutto è il costruttore delle ali per sé e per il figlio Icaro in vista della fuga dall'isola; ma anche Pigmalione, cipriota, che costruisce una statua d'avorio, la coltiva e ama come fosse umana. L'anima vuole donare sé stessa, volare, creare, costruire vita anche dove sembra impossibile.

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Prometeo è un eroe che il XIX secolo, per la sua aspirazione al progresso, per la sua inquietudine romantica, per il suo spirito filantropico, visse come una specie di ossessione. Ne scrissero i maggiori poeti dell'Occidente, Goethe gli prestò la voce in un canto di rivendicazione e di rivolta contro la miseria e l'apatia degli dei: «Qui sto io, plasmo uomini/ a mia immagine,/ una stirpe che mi somigli/ nel soffrire, nel piangere/ che goda e si rallegri».

Shelley ne fece il protagonista di un intero poema drammatico, Prometeo liberato, in cui l'eroe della sfida al Potere, diventato vittima del Potere più cupo, si riconnette con la parte orientale, femminile di sé, con la natura, la magia, la contemplazione. Nel XXI secolo si è capito che la forza superiore a cui Prometeo si è ribellato è la natura: lui ed Eracle con le sue fatiche sono i protagonisti iniziatori di quel processo che prima doma, poi imbriglia, poi usa, poi distrugge la natura e tutto ciò che è natura. Il fuoco celeste rubato e dato all'uomo è diventato ormai quello che ha martoriato Hiroshima, che ha fatto inabissare uccelli in mare, volare pesci sugli alberi, mutare la materia e le sue regole interne per provocare distruzione totale e morte.

Prometeo oggi costruirebbe sempre più aeroporti, autostrade, acciaierie, grattacieli. È un nobile eroe, ma del passato. La natura e il pianeta Terra hanno bisogno oggi di dei ed eroi che nell'anima umana suscitino nuovi desideri, verso nuovi assetti della società e nuove forme di convivenza tra gli uomini e con il cosmo.

Prometeo è un Titano, figlio dell'Oceanina Climene e di Giapeto, nome così simile allo Jafet biblico, figlio di Noè. Ha per fratelli Atlante e Menezio, ma soprattutto quell'Epimeteo che sin dal nome sembra il suo doppio sciocco, controfigura comica dell'eroe. Prometeo vuol dire «che vede prima», Epimeteo «che vede dopo». Il primo è previdente, accorto, coraggioso, quando occorre astuto. Il secondo è un pasticcione, un confusionario, un buono a nulla che arriva sempre in ritardo sulle cose. Quando i Titani alleati di Crono si ribellano a Zeus e insidiano l'ordine olimpico, Atlante e Menezio si mettono dalla loro parte, e pagano cara la sconfitta: il primo è condannato a reggere il cielo sulle spalle, il secondo è folgorato da Zeus. Prometeo, e con lui Epimeteo, la cui indole è scimmiottarlo, si schiera invece dalla parte di Zeus. Lui, che viene dal mondo primordiale e brutale dei Titani, sceglie il luminoso ordine del nuovo potere olimpico e dei suoi dei. È il più intelligente dei Titani, e stringe un legame forte con Atena, la più intelligente tra le nuove divinità. Ma non tarderà a entrare in contrasto con Zeus, è il suo fato, quel fato a cui né dei né Titani possono opporsi.

Prometeo, si dice, ha creato i primi uomini. Li ha impastati modellando terra mescolata ad acqua, che poi ha solidificato con il calore del fuoco, e ha chiesto ad Atena di soffiare in queste creature di argilla l'alito di vento dell'anima, della vita. Data da allora la sua benevolenza verso il genere umano. Lo vede così fragile, così in balia delle forze soverchianti della natura che desidera con sincera, disinteressata passione, aiutarlo a sopravvivere. È lui che mostra come accendere il fuoco, è lui che impara da Atena l'architettura, l'astronomia, l'arte di lavorare i metalli, l'arte di navigare, e poi trasferisce agli uomini tutto questo bagaglio di conoscenze perché possano farne buon uso.

A Prometeo, il potere di Zeus sugli umani deve sembrare troppo oppressivo ed esigente. Quando si tratta di decidere quali parti di un toro sacrificato deve andare agli dei e quale agli uomini, Prometeo, che per la sua prontezza e intelligenza è chiamato a fare da giudice, elabora uno stratagemma a danno di Zeus. Del toro sacrificato, prende lo stomaco, la parte meno appetibile, e ne fa una sacca che riempie di tagli di carne succulenta e di appetitose frattaglie, poi prende le ossa e le rifascia con un bello strato di grasso bianco e sugoso. Prometeo invita Zeus a scegliere, e il signore degli dei si lascia ingannare dalle apparenze, abbagliare da quel biancore così morbido. Quando si accorge che contiene soltanto ossa, ha un violento moto d'ira, e decide di punire Prometeo attraverso i suoi protetti, gli uomini.

Toglie loro il fuoco: che non possano più illuminare la notte, riscaldare i rifugi, e che si mangino cruda tutta quella carne prelibata che Prometeo ha destinato loro, ogni volta che sacrificano agli dei. La privazione del fuoco mette in ginocchio gli uomini, che regrediscono a quello stato selvaggio da cui Prometeo li ha tratti con tutti i suoi insegnamenti.

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