Maffeo Pantaleoni l'economista liberale che voleva "curare" la follia statalista

Una nuova antologia raccoglie il pensiero lucido e disincantato di questo nemico dell'uguaglianza

Maffeo Pantaleoni l'economista liberale che voleva "curare" la follia statalista

Maffeo Pantaleoni (Frascati 1857-Milano 1924) economista e intellettuale liberista di prima grandezza, rientra senz'altro nel novero di quella esigua schiera di pensatori lucidi e disincantati, in gran parte rinvenibili nell'ambito conservatore, che hanno decifrato in chiave realistica la storia, la società e la natura umana. Esce ora una raccolta di suoi scritti edita da Liberilibri a cura di Sergio Ricossa, recentemente scomparso, e anch'egli grande economista liberale-liberista: Il manicomio del mondo e altre pagine scelte (introduzione di Manuela Mosca Liberilibri 2019, pagg. XXII-186, euro 18). L'antologia è arricchita da note redatte da Federico Bindi, Filippo Cavazzoni, Alessandro Cocco e Alberto Mingardi dell'Istituto Bruno Leoni. Nella presenta-zione del libro, l'editore ricorda che Pantaleoni e Ricossa sono stati entrambi feroci avversari di ogni socialbuonismo, per cui in questi anni di ben temperati conformismi offrire agli italiani la possibilità di leggere questi «urticanti pensatori» non può che rivelarsi utile: «i loro affilati argomenti demolitori delle sempre riemergenti superstizioni egualitarie e stataliste, non mancheranno di schiarire l'orizzonte offuscato delle nostre menti, impigrite da decenni di martellanti demagogie».

In questa antologia il realismo lucido e disincantato di Pantaleoni si dispiega attraverso una serie di punti fra loro strettamente intrecciati. Il criterio di fondo che tutti li unisce è dato dall'inconciliabile nesso tra libertà e uguaglianza perché l'attivazione completa della libertà non può che produrre un'irrimediabile disuguaglianza. Pantaleoni denuncia l'istanza non realistica della teoria egualitaria, in quanto concetto assurdo del tutto estraneo alla vita e alla realtà. Esso sta alla base sia della democrazia, sia del socialismo, conferendo a questi movimenti un carattere utopistico. Il vagheggiamento dell'utopia, che in qualche modo è rintracciabile anche nelle formulazioni teoriche di alcuni economisti, scaturisce dalla volontà di realizzare un mondo di perfezione senza lotte e senza contrasti, dimenticando che nella storia la forza, l'autorità e il potere sono presenze ineliminabili. Il problema, infatti, non consiste nell'abolire il conflitto fra gli esseri umani, ma nel civilizzarlo. A partire dall'errato presupposto egualitario, che assegna un valore preminente alla volontà dei più, la democrazia e il socialismo tendono, inoltre, a sostituire la quantità alla qualità, spianando così la strada alla demagogia e alle dittature, fino a distruggere sé medesime.

La democrazia e il socialismo, in quanto movimenti di carattere politico, poco contribuiscono, per Pantaleoni, al progresso umano, se per progresso si deve intendere quello derivante dallo sviluppo economico, tecnico e scientifico, il solo in grado di diffondere nella società, specialmente nei suoi strati più deboli, un effettivo benessere generale. Sotto questo profilo si può dire che qualsiasi movimento politico è ben lungi dal conseguire i risultati specifici ottenuti dall'azione economica. Non sono state le cruenti rivoluzioni politiche che hanno cambiato realmente la società, ma la pacifica rivoluzione industriale iniziata nella seconda metà del Settecento, la sola vera effettiva rivoluzione dell'età moderna. Il mondo - e questo lo aggiungiamo noi - è stato trasformato più da uomini come James Watt che da tutti i capi di tutte le rivoluzioni politiche degli ultimi due secoli. Appare evidente, quindi, che i benefici risultati dell'azione economica sono dovuti all'ingegno e allo sforzo organizzativo degli imprenditori. Si deve pertanto riconoscere che, in un regime liberale dove vige il libero scambio dei beni e dei servizi, è la diversità disegualitaria dei talenti, posta in essere dal dispiegamento attivo della libertà, che crea il benessere generale e non certo l'erogazione sociale indifferenziata del lavoro collettivo come viene proclamato dal socialismo marxista.

Il rapporto fra le rivoluzioni politiche e le attività economiche rimanda così, secondo Pantaleoni, al problema irrisolvibile della natura umana, da lui giudicata, come tutti i conservatori, immodificabile: le rivoluzioni politiche sono inutili perché la natura umana è immodificabile. L'individualismo radicale di Pantaleoni approda al paradosso, quando giunge ad affermare che il merito delle persone non esiste, affermazione che sembra addirittura negare il libero arbitrio. Ed in effetti, se si pensa che la gerarchia dei talenti sia dovuta alla natura e non al contesto culturale ed educativo, per cui uno nasce stupido e un altro intelligente, uno pigro e l'altro volonteroso, ecc., non ha alcun senso credere all'effettiva possibilità di cambiare in modo significativo la società. Certo, l'educazione deve fare la sua parte per migliorare il genere umano, ma da essa più di tanto non si può pretendere.

Il liberismo antistatalista di Pantaleoni denuncia, infine, la dannosità dei governi, specialmente quando questi sono nelle mani degli incompetenti perché, come egli scrive, «qualunque imbecille può inventare e imporre tasse».

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