Nei discorsi dei nostri uomini politici durante la campagna elettorale e nei giorni di questo convulso e incerto stallo di dopo le elezioni, non ho mai sentito pronunciare parole che avessero a che fare con la cultura, con l'ideale di un mondo da costruire, con un progetto di futuro che vada al di là delle contingenze e della stretta, spesso bieca contemporaneità. Per esempio, non ho mai sentito parlare di «umanesimo». Molti tra le file degli eletti (e certo anche dei trombati) penseranno che è un termine vecchio, ammuffito, da topo di biblioteca. Sbagliano. Da Petrarca a Lorenzo Valla, da Marsilio Ficino a Pico della Mirandola, con un cammino lungo che arriva sino a Sartre e all'esistenzialismo, l'umanesimo esiste come pensiero guida dell'Occidente, su cui oggi vale la pena di ritornare perché minacciato e messo in forse senza che la politica ne abbia la minima coscienza.
La cultura umanistica oggi passa per inutile e improduttiva. La cosiddetta Buona Scuola di renziana memoria, che però pare piaccia anche ai 5 Stelle, ha ratificato il declino del sapere letterario e filosofico. Chi se ne frega di poeti, romanzieri, pensatori. L'alternanza scuola-lavoro la dice lunghissima: importante è la pratica, mica la grammatica (così molti giustificano il proprio eloquio, oltretutto) e gli studenti devono andare a rimboccarsi le maniche con impieghi provvisori, non pagati, dietro il banco di un bar, per esempio, che non so quanto educhi, forse persino meno del lavoro nelle campagne cui Mao Tse Tung costringeva gli intellettuali durante la Rivoluzione culturale. Quando ci penso, benedico di essere nato quando uno studente del Classico si rompeva la testa tra verbi greci e consecutio temporum, ma poi leggeva Omero e Virgilio, e quei pochissimi che proprio volevano fare i camerieri, lo facevano d'estate, nei dancing, e esclusivamente per rimorchiare.
Una polemica di qualche anno fa in Francia divise chi sosteneva che al centro della scuola c'è l'allievo da chi sosteneva che invece doveva esservi il sapere. In Italia non c'è dubbio che la prima scelta non è mai stata messa in discussione: al centro di una scuola burocratizzata al massimo (così e quasi disperatamente si lamentano con me tutti i miei amici che insegnano) c'è il ragazzino, coccolato da genitori che si indignano e arrivano a usare le mani se non li coccolano anche i professori. Il sapere vada a farsi fottere: come dire, tanto per riuscire nella vita contano di più l'astuzia, la faccia tosta, le raccomandazioni, la fortuna, gli imbrogli. Ecco, l'umanesimo insegnava e insegna tutto il contrario: al centro dell'apprendere c'è la formazione dell'uomo, non del lavoratore o del consumatore, ma dell'uomo con la U maiuscola. L'umanesimo, e lì il pensiero laico può fecondamente incontrarsi con quello cristiano, mette al centro del mondo la persona umana. Puoi diventare un buon cuoco, un buon idraulico, un buon commerciante, un buon medico, un buon ingegnere, un buon Ceo: ma prima di tutto sei un essere umano, nella sua complessità, uno che deve fare i conti con la conoscenza di sé e degli altri, con la volontà che spinge ad agire, con il destino, che spesso non è altro che una volontà al di fuori di noi. Sei uno che deve coltivare la ragione ma anche il sentimento e l'immaginazione, e infine una fede, che può essere religiosa ma anche soltanto un credere in quello che si fa, un sapersi dedicare a qualcosa sino a sacrificare qualcosa di sé. Tutto questo è l'eredità dell'umanesimo. Tutti parlano ormai quasi soltanto di dati economici, o se no di paure istintive. Che brutta espressione «un discorso di pancia»: dimentica che la pancia è anche la sede in cui si forma e transita la merda.
Ho sentito parlare poco dell'avvento della robotica e della radicale trasformazione del lavoro grazie ad essa. Quando qualcuno ne accenna, lo fa con toni stupidamente trionfalistici, lo dà per scontato, come se l'uomo non fosse più l'artefice della storia e della società in cui vive, ma semplice pedina su una scacchiera dove pochissimi inafferrabili re e regine dell'economia, potenti e nascosti, giocano la loro partita vittoriosa. L'umanesimo è l'arma per negare tutto questo. I robot che già sostituiscono e sempre più sostituiranno i lavoratori in tanti campi, sollevano dalla fatica, va bene, ma anche dall'impiego: che faranno gli operai e i tecnici rimpiazzati dai robot? Non è che potremo avere una società di tutte rock star e gieffini. Per l'uomo il lavoro è sacro, è la realizzazione di se stesso, è il pane, è il futuro dei figli. Per un robot, che diavolo è? Allora ecco l'attualità della cultura umanistica, della lezione dell'umanesimo: Omero e Dante, Shakespeare e Goethe, Victor Hugo e Walt Whitman raffigurano l'uomo nella sua interezza, nella sua complessità, nella sua grandezza e dignità intoccabile.
Per questo li leggiamo ancora. Platone, Spinoza, Voltaire, Vico ci mostrano il senso del nostro abitare il pianeta terra. Studiarli vale la pena. A meno che vi accontentiate di qualche canzonetta. Molti lo fanno già, e non è una buona scuola.
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