Cultura e Spettacoli

Le mani, il viso, la carne: il mistero unico di Gesù

Gianfranco Ravasi ha scritto una "Biografia" di Cristo a partire dall'analisi dei Vangeli

Le mani, il viso, la carne: il mistero unico di Gesù

Che di Gesù il Nazareno, Yeshu Ha-Nozri, Yeshu ben-Yosef, Gesù figlio di Giuseppe, non si sappia nulla, è matrice del suo fascino, l'ingresso nel mistero. Il torbido affanno con cui si stanano dati storici certi per certificare l'esistenza terrena del Figlio di Dio dal Testimonium Flavianum alla lettera di Plinio il Giovane a Traiano ne testimonia la divinità. Di un Cesare qualsiasi conosciamo tutto, del Messia pochissimo, frammenti spesso fraintesi, spine inadatte alla leggenda, insoddisfacenti. In effetti, il Messia passa irriconosciuto, irriconoscibile; la Storia, al suo cospetto, è fioca eco nel sepolcro vuoto. Proprio questa sovversione del canone, questo labirinto di morgane, magnetizza: il cristiano non ha appigli, abita nel buco nero di un'assenza, di un interrogatorio micidiale, «voi, invece, chi dite che io sia?», sfida che sfianca, baratro che imbarbarisce, ci fa spudorati per eccesso di pudore.

Al primo esame di Storia del cristianesimo antico, davanti a Remo Cacitti, friulano, di violenta generosità aveva sfiorato Pasolini, nella giovinezza , sfoggiai la formula di Rudolf Bultmann, con gioia livida, dissacrante, quella del Jesus, «noi non possiamo sapere più nulla della vita e della personalità di Gesù». E quindi?, replicò il prof. Per un lasso d'anni ci ubriacammo dell'epopea dei primi cristiani: Cacitti ha studiato, come nessuno, i Circoncellioni: donatisti, eversivi, giravano l'Africa settentrionale in bande armate, pronti al martirio e a massacrare i vescovi a bastonate. Per indole, mi suggerì di studiare i Messaliani, entusiasti che predicavano la preghiera perpetua ed erano convinti che lo Spirito si potesse sperimentare «sensibilmente». Contemplativi, tacciati di eresia nel IV secolo, seguivano Cristo, dedalo di miraggi, che eternamente sfugge alle regole della ragione. «Viviamo di fede, lasciando da parte la ragione umana che è follia dinanzi a Dio, e regolando la nostra vita secondo le parole della saggezza divina che è follia dinanzi agli uomini», scrive Charles de Foucauld commentando il Vangelo di Giovanni. Mi pareva straordinario anzi, eccitante che dai Vangeli scaturissero visioni della fede dunque, del mondo tanto distanti, contraddittorie, perfino. Allora i Vangeli dicono davvero tutto l'uomo, mi dicevo.

Il genio dei Vangeli è nell'essere concreti ed elusivi, limpidi ed enigmatici, cauti ed eversivi; i Vangeli fanno paura, sconfiggono le evidenze, impongono una sequela fatta di rinunce devastanti; l'amore che professano è di una crudeltà intransigente, la carità è congiunta alla spada, la passione si inarca nel calvario, ha per esito il tuono dei chiodi, la croce; la resurrezione è un rebus di ambiguità, l'Emmaus degli increduli. I Vangeli sono incontenibili, non stanno nei ranghi dell'esegesi, si rivelano nuovi ad ogni lettura, diversamente sconcertanti: per questo erano il modello di Lev Tolstoj il dio del romanzo e di Jorge Luis Borges che ha scritto il suo Vangelo di Marco, un racconto dall'esito barbaro, e mirava al libro infinito. Per questo, ogni libro che romanza la storia di Gesù, pur bello a titolo d'esempio: La gloria di Giuseppe Berto, Il Vangelo secondo il Figlio di Norman Mailer, Il Vangelo secondo Gesù Cristo di José Saramago , ci appare fittizio, inautentico, spurio, privo della prodigiosa semplicità degli originali. Ogni pagina dei Vangeli conturba, ogni versetto è una botola, un bivio. I Vangeli non consolano, consumano; bonificano la fede con il dubbio, raspano fino al nudo grido, all'incubo cavo. Alcuni episodi spiazzano con glaciale pervicacia: Gesù nel deserto, «era con le fiere e gli angeli lo servivano» (Mc 1, 13); Gesù che di fronte all'adultera, accerchiato da scribi e farisei, «chinatosi, tracciava segni per terra con un dito» (Gv 8, 6); Gesù, risorto, che a Simon Pietro ripete, per tre volte, «Ma tu mi vuoi bene?» (Gv 21, 15 ss.).

Di Gesù, come scrive Gianfranco Ravasi nella sua accurata, colta furoreggiano citazioni borgesiane , impeccabile e fredda Biografia di Gesù. Secondo i Vangeli (Raffaello Cortina Editore, pagg. 252, euro 19,00), gli evangelisti tacciono il viso, specie di foro bianco, di mutilazione. «I Vangeli canonici... non ci hanno lasciato neppure un rigo sul profilo fisico di Gesù di Nazaret, neanche il pittore Luca». Non-detto che dice l'indicibile, sevizia dell'elusione: sta a noi immaginarci il volto del Dio vivente. Secondo Origene che si rifà alla tradizione messianica di Isaia , ricorda Ravasi, «Gesù era piccolo, sgraziato, simile a un uomo da nulla»; a dire di sant'Agostino «noi ignoriamo totalmente quale fosse il suo volto», eppure l'iconografia d'Occidente, «ribadita in mille e mille altri ritratti stupendi, ma anche in una pletora di stucchevoli oleografie e di retorica spiritualistica», ne farà una specie di bellissimo, omerico idolo. Il viso di Gesù, semmai, si rispecchia nelle mani a cui Ravasi dedica il capitolo più toccante del libro che chiamano, addestrano i discepoli, compiono miracoli. Mani verbali, che cuciono la carne sofferente del prossimo radicandoci nella carnalità di Dio: «Piaghe, organi paralizzanti, corpi devastati o inerti sono ininterrottamente sotto l'azione di quelle mani». Mani, appunto, espressive come labbra, come occhi, come nell'Incredulità di San Tommaso di Caravaggio: mani che svelano l'orrido del costato vasto quanto un De Profundis e mani che scavano nella carne scoperchiata, lattea. Mani che scacciano i demoni «Il diavolo come ombra di Dio fa parte del messaggio cristiano» e con cui Gesù si allontana dalle folle, alienandosi sui monti, in solitudine, chiedendo che di lui non sia seminata traccia. Quasi che il travaso del silenzio e dello stupore predisponga al Golgota, al tradimento, all'esito.

Per chi desidera scandagliare il significato dei Vangeli, la loro geologia, il libro di Ravasi con bibliografia complice è utile.

Quanto al resto, basta aprirli, i Vangeli, sprofondare in quelle stimmate, avere il coraggio di perdere tutto per avere tutto.

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