Ora gli tocca rinnovarsi. Mica potrà andare a Discovery con il «brand» Crozza totalmente identico a quello che per vent'anni si è visto su Rai, Mediaset e La7. Ora basta. Il comico garbato, politicamente non eccessivo ma comunque schierato, quello che per ragione sociale si rivolge a un pubblico generalista, adesso (anzi da gennaio 2017) ha accettato la sua sfida più importante: rinascere diverso. Appena un po'. Non che finora la sua rotta abbia attraversato solo calma piatta, figurarsi. Da quando si è diplomato alla scuola dello Stabile di Genova (professore Gian Maria Volonté, un super maestro) Maurizio Crozza ha fatto la propria bella gavetta, passando dagli sgarruppati Broncoviz alla Dandini di Tunnel e Avanzi fino alla consacrazione con la Gialappa's di Mai dire gol a Mediaset, ossia a casa di uno dei suoi bersagli preferiti. Una carriera che oggi, a 57 anni, merita comunque l'applauso se non altro perché, nel post berlusconismo della satira, è riuscita a garantirgli un posto sul podio dei più popolari, versatili e godibili comici in circolazione. Però, si è visto, l'improvvisazione non è il suo forte. Al Festival di Sanremo di Fazio, quando arrivò sul palco dell'Ariston imitando (appunto) Berlusconi, fu contestato da poche persone ma perse la favella e si «forlanizzò», nel senso che diventò come l'allora segretario della Democrazia Cristiana Arnaldo Forlani davanti ai giudici di Mani Pulite: bocca asciutta, lingua felpata stile Fantozzi e tentennamento disorientato. Difficile che un comico da avanspettacolo o comunque abituato al tumulto della platea si perda così d'animo. «È un attore più che un improvvisatore» sentenziò un Aldo Grasso meno tranchant del solito.
Ed è vero.
Crozza è nato attore, ha i tempi dell'attore e, quando ha la possibilità di costruire un personaggio, è difficile che sbagli. Specialmente se l'argomento è popular, ossia conosciuto da tutti, dal cardiochirurgo al professore di estetica fino alla sciampista di Alessandria (senza offesa per sciampiste e alessandrini). Così è nato il «crozzismo», neologismo che Jacopo Iacoboni de La Stampa ha inventato per riassumere quella particolare forma di sindrome di Stoccolma delle persone imitate da Crozza: imitare l'imitatore che le imita. Prendete Bersani del Pd che una volta, quasi per caso, disse «non siamo mica qui a smacchiare giaguari» e, dopo che Crozza ci costruì sopra una serie di sketch, ricevette uno schiaffo di popolarità che manco se lo sarebbe immaginato. Idem Roberto Giacobbo che oggi forse ama più il parodistico Kazzenger di Crozza del suo Voyager se non altro perché il primo gli ha dato molta più fama rispetto al secondo. E per tacere di Antonio Razzi, quello della «crana» o «fatti li cazzi tua», che ormai è quasi più simile all'imitazione che all'originale.
Insomma Maurizio Crozza da Genova, sposato da 24 anni con l'attrice Carla Signoris, padre di due figli che ha pure portato in tv (in Crozza Alive nel 2010 e poi in Italialand l'anno successivo) è obbligato a fare come l'araba fenice: rinascere per rimanere uguale. Ossia popolare, famoso, influente. In una parola: temuto dai politici e dall'establishment, che hanno paura di chi fa paura, ossia di chi raggiunge una grande quantità di pubblico. Le sue copertine prima di Ballarò e poi di Di martedì valgono più di un editoriale in prima pagina. Gli ospiti in studio le temono, fanno buon sorriso a cattivo gioco e, da casa, i politici interessati le soppesano manco fossero bolle papali. E ora? Su Discovery il comico cresciuto con la Gialappa's dovrà ritagliarsi un ruolo diverso, un profilo nuovo, qualcosa che sia inatteso ma allo stesso tempo fedele al personaggio che in questi vent'anni il comico amico (ma non troppo) di Beppe Grillo ha saputo ritagliarsi.
Perché un conto è fare l'imitazione del «celeste» Formigoni davanti a un pubblico che lo conosce bene. Un altro è rivolgersi a chi, come lo spettatore meno «istituzionale», cerca un'alternativa distinta e distante. Vedremo. Il nuovo Crozza, in fondo, è dietro l'angolo.
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