Cultura e Spettacoli

"Il mio viaggio swing nella musica italiana per riscoprire le radici"

L'artista pubblica un album di cover per raccontare il suo suono "senza genere"

"Il mio viaggio swing nella musica italiana per riscoprire le radici"

È un viaggiatore di suoni partito dal jazz per poi navigare in mille diversi rivoli musicali che spaziano dalla classica al pop. Ha vinto la sezione Giovani al Festival di Sanremo (dove è tornato più volte da big) e ha suonato alla Scala. Raphael Gualazzi è un pianista jazz che non si lascia etichettare e anche questa volta viaggia verso un sound policromo e universale con Il bar del Sole, il suo primo disco di cover arricchito da ospiti come i Funk Off e Margherita Vicario e con la produzione di Vittorio Cosma, già con la Pfm e con storici artisti internazionali, nonché spalla di uno storico concerto di Miles Davis.

Bar del Sole non è un titolo casuale.

«No, è il Caffè del Sole di Urbino dove ho iniziato la mia attività. Era un bar raccolto, intimo, fuori dal tempo, un luogo famigliare. A 17 anni mi chiesero se volevo suonare il piano nel locale e chiaramente le prime volte non c'era nessuno. Io suonavo stride piano, lo stile di New Orleans degli anni Venti, e pian piano qualcosa si mosse. Ogni volta veniva sempre più gente che si assiepava anche fuori all'aperto. Fu il mio battesimo del fuoco».

Un omaggio alle radici quindi.

«Sì, anche perché il locale ora ha cambiato sede. Lì, tra una colazione e un'altra, ho scritto anche qualcuno dei miei primi brani. Era un posto storico frequentato anche dai professori del Conservatorio e da tanta gente e ciascuno, ogni volta che partiva per un viaggio, portava un sole di ceramica da appendere alle pareti. Ce n'erano da tutto il mondo: dal Nicaragua al Sudafrica».

Quindi questo fu il suo battesimo.

«Sì, a parte le piccole rock band che tutti i ragazzi provavano a mettere in piedi, ma io a 14 anni sono entrato in Conservatorio e poi mi ha preso il demone del jazz».

Chi sono i suoi artisti di riferimento?

«Prima di tutto Fats Waller. Poi Erroll Garner, anche se era più un jazzista che un pianista stride. Ma da ragazzo ascoltavo molto anche la musica italiana: Cocciante, Guccini... Quindi mescolando tutte queste influenze è venuta fuori la mia musica, che non vuole essere un genere».

Ossia?

«C'è una apertura totale verso gli altri generi che però non tradisce l'espressività originale delle canzoni».

Per questo si è dedicato alle cover?

«Ho fatto un percorso di indagine della musica. Volevo imparare dalla tradizione attraverso brani che sono patrimonio culturale della canzone italiana».

Per esempio?

«Il mondo di Jimmy Fontana. Una melodia meravigliosa per una canzone senza tempo. La versione originale è strepitosa».

Tutti brani italiani, con una citazione per Vinícius de Moraes e Toquinho.

«Su testo di Sergio Bardotti, qui c'è la splendida voce di Margherita Vicario in Senza paura, un brano che incita a non avere paura nel fare le proprie scelte e a non chiudersi verso le altre persone. È una canzone che ha una filosofia molto sudamericana sul non avere paura».

Come le sono venuti in mente i Giganti e l'era beat?

«L'ho detto, ho mescolato i generi, così dal beat sono passato allo swing di Sergio Caputo che è un jazzman formidabile».

E poi c'è Battiato.

«Un fenomeno. Cerco un centro di gravità permanente è un brano storico. Purtroppo non ho conosciuto Battiato ma la sua musica mi ha molto segnato».

I suoi pianisti italiani preferiti?

«Stefano Bollani, Dado Moroni e Luca Filastro; è poco conosciuto ma suona lo stride come pochi altri e abbiamo fatto anche parecchie cose insieme».

Progetti?

«Poco tempo fa ho suonato con un violinista un'aria di Mendelssohn alla Scala e a ottobre suonerò ancora classica al Conservatorio di Milano».

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